Più Europa o meno Europa? Europeisti o euroscettici? Frequentemente il dibattito sull’Europa scade in questo tipo di semplificazioni. Pro o contro l’Europa, sembra questa la questione da decidere. Di Europa si parla pochissimo, ma occasionalmente occorre prendere posizione: un trattato da ratificare, un voto da esprimere, talvolta un referendum popolare, tra poche settimane le elezioni del Parlamento europeo.
Ma qual è il volto dell’Europa nel XXI secolo? Questo è un interrogativo che ci poniamo meno frequentemente. Per le più giovani generazioni l’idea di Europa si associa alla moneta unica e alla libertà di circolare liberamente su tutto il continente, senza formalità alle frontiere. Euro e Schengen sono i simboli dell’Unione europea più diffusamente percepiti.
Ma l’Unione europea non è solo questo e non è sempre stata solo questo. L’integrazione europea è un processo che ha percorso un lungo cammino dal lontano 1950, l’anno della famosa dichiarazione Schuman che diede effettivamente avvio alle istituzioni comuni: «L’Europa non si farà d’un tratto», si disse allora. E infatti si sarebbe fatta per piccoli passi. Grande realismo e grandi ideali animavano i padri fondatori negli anni ’50. Grandi obiettivi politici – la pace e la prosperità per l’intero continente – e strumenti circoscritti, ma ben mirati: inizialmente solo la produzione comune del carbone e dell’acciaio. Un’apparente sproporzione tra gli ideali e gli strumenti. Ma gli strumenti toccavano il punto nevralgico di tutti i problemi dell’epoca – la produzione del carbone e dell’acciaio, la materia prima ed essenziale dell’industria bellica. E, decisivo, univano in un patto d’acciaio i nemici storici di sempre: Francia e Germania. Un passo piccolo, ma efficace rispetto al grande obiettivo di riportare la pace in un continente continuamente devastato dalle guerre. E una grande magnanimità nell’unire su interessi comuni i nemici storici dell’epoca. Come se oggi, per dire, si unissero le grandi potenze occidentali e tutti i paesi arabi per la produzione del petrolio o l’occidente stringesse un accordo con tutti i paesi del Medio oriente sul problema del nucleare sottoponendosi ad una autorità comune.
Dopo i primi anni fondativi, a partire dalla seconda metà degli anni ’60 l’Europa visse anni di stallo e di freddezza nelle relazioni politiche al suo interno. Solo vent’anni più tardi si poté tentare il rilancio del mercato interno, con l’atto unico europeo del 1986. Poi finalmente gli anni gloriosi dell’Europa di Maastricht, l’avvio della unificazione monetaria, l’Europa delle banche e del controllo sulle politiche di bilancio degli stati nazionali. L’Europa diventava il motore della concorrenza, del mercato e del liberismo economico in tutti i paesi dell’Unione ormai in fase di allargamento anche a est. Il neo-liberismo di matrice europea sembrava una risposta efficace ai problemi del vecchio continente alla fine del secolo scorso.
Forti del successo, si è osato il grande passo verso l’unificazione politica. Ma la grande operazione simbolica del Trattato costituzionale è fallita, ferita mortalmente per mano di uno dei grandi paesi fondatori. E così, quello che avrebbe potuto costituire il salto di qualità nell’unificazione politica, ha lasciato spazio ad un decennio in cui l’integrazione europea è proseguita lontano da enfasi politiche e riflettori mediatici, su un piano totalmente diverso e più nascosto, anche se non meno penetrante: l’Europa del XXI secolo è stata finora l’Europa dei giudici e dei diritti individuali, delle burocrazie e dei “rami bassi” delle amministrazioni.
L’Europa ha espresso dunque molte sfaccettature nel corso del più che cinquantennale cammino di integrazione. Ma quale sarà il volto dell’Europa dei prossimi anni? Le sfide storiche che si sono profilate negli ultimi anni sono davanti agli occhi di tutti: il terrorismo internazionale, l’imponenza dei flussi migratori, la crisi energetica e da ultimo l’inaspettata crisi economica di proporzioni mondiali. Queste sfide non sono meno ardue di quelle delle origini. Ed è probabilmente ritornando allo spirito delle origini che si può trovare lo slancio per affrontarle. Grandi ideali, grande realismo è l’insegnamento dei Padri fondatori, andando dritti al cuore dei problemi più scottanti dell’epoca contemporanea.
Di fronte alla dimensione dei problemi contemporanei, l’Europa non può rimanere piegata su se stessa, ad occuparsi soltanto di micro-normazione di rilievo interno che gli Stati e i cittadini europei sopportano sempre più a fatica, ma deve trovare la capacità di collocarsi sulla scena internazionale e globale come interlocutore autorevole delle grandi potenze mondiali. Occorre uno slancio politico di respiro internazionale, perché i problemi del mondo contemporaneo si collocano in quella dimensione. Nessuno stato nazionale europeo può pensare di poter affrontare e risolvere da sé i problemi dell’immigrazione, del terrorismo, dell’energia, della crisi economica. Da questo punto di vista l’Europa non è una opzione, ma una vera necessità. In questa prospettiva di grandi ideali e di grande respiro forse risulterà più agevole constatare che ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide, come fu ai tempi della fondazione.
L’errore sarebbe pensare che per far questo occorra prima rafforzare le strutture interne dell’Unione. Un ennesimo processo di riforma complessiva dell’architettura istituzionale dell’Unione assorbirebbe tutta l’agenda politica e paralizzerebbe ogni altra azione. Non sembra necessario, né pare auspicabile, che l’Europa spenda le sue energie per trasformarsi dal punto di vista interno in una struttura di tipo federale e meno che mai in una organizzazione di tipo statale. La specificità dell’unificazione del continente europeo è che essa non nega, ma valorizza gli stati nazionali, e non procede a discapito di essi. Ogni volta che si è dimenticata questa specificità il processo di integrazione si è arenato.
È vero piuttosto che l’Europa degli ultimi decenni ha sofferto di un deficit politico, oltre che democratico, e ne è prova la totale disaffezione dei popoli europei alle istituzioni dell’Unione, in primis al Parlamento europeo, che tali popoli dovrebbe rappresentare. Ma anche a questo scopo, forse i cittadini europei e i soggetti politici si mobiliteranno più volentieri e con maggiori energie per una Unione europea proiettata sullo scenario mondiale, decisa ad affrontare senza esitazione i problemi maggiormente sentiti e patiti da tutti.