Tacito e invisibile, Sergio Mattarella è l’opposto di Giorgio Napolitano. Parla poco, non cerca la sovraesposizione, non mostra di pilotare alcunché nella vita politica e istituzionale del Belpaese, non intende mostrarsi come il garante degli interessi europei. Essendo il capo dello Stato, di fatto è già l’uomo che fornisce le dovute assicurazioni (e rassicurazioni) ai partner di Bruxelles senza aver bisogno di sbandierarlo ai quattro venti.
Ma come l’emerito, anche il presidente in carica agisce molto dietro le quinte. Lo scenario è profondamente diverso rispetto agli anni dell’ex migliorista del Pci. Napolitano doveva sbarazzarsi del governo di Silvio Berlusconi, inviso alle capitali che contano, e traghettare il Paese verso difficili elezioni in un contesto economico in rapido peggioramento. Scelse la soluzione del governo tecnico, insediando Mario Monti prima a Palazzo Madama, a vita, e subito dopo a Palazzo Chigi, per un annetto e poco più. Dalle urne è uscito un Parlamento impazzito, privo di una maggioranza chiara, terremotato dai cambi di casacca, incapace di cambiare verso alla crisi perdurante, che ha dato la fiducia a tre governi, l’ultimo dei quali non sembra in grado di tracciare e seguire una road-map verso una nuova legge elettorale.
Se questa è stata una legislatura terremotata, nella prossima si preannuncia uno scenario da post-tsunami, con le Camere elette da un sistema proporzionale, dove sparisce il bipolarismo destra-sinistra e forse anche il tripartitismo con i grillini. La parola d’ordine più probabile sarà ingovernabilità per la presenza di tante formazioni minori ognuna con un suo diritto di veto. Nella fase attuale i leader non mostrano di avere grandi visioni. Renzi pensa al tridente Gentiloni-Minniti-Delrio, Berlusconi è stretto nella morsa di Salvini e Meloni e si aggrappa nientemeno che a Musumeci. I grillini sono lo specchio della politica come Roma lo è dell’Italia, ingovernata e ingovernabile. La legge elettorale è sparita dai radar e torna un ritornello lanciato prima della pausa estiva da Ettore Rosato: con la legge di bilancio (e quindi anche senza riforma elettorale) il governo Gentiloni ha chiuso il suo mandato.
Il povero Mattarella cerca il bandolo di questa matassa. E l’ipotesi che si fa strada non è di un Gentiloni bis, una mezza figura adatta per le mezze stagioni, ma nemmeno quella di un tecnico alla Monti, manovrato dalle cancellerie europee. Con Napolitano e Monti erano altri a decidere al posto degli italiani. Con Mattarella si cambia registro: la scelta è interna. Il lavoro dei prossimi mesi sarà quello di individuare il profilo più adatto e di applicare al meglio la mitica “moral suasion” del Quirinale, cioè la capacità di convincimento. Non un tecnico, ma un commissario. Una figura sopra le parti che sia in grado di avere un certo ascendente sulle parti.
Il governo quasi come un’authority, dove la maggioranza (che comunque sarà risicata) non trova legittimazione tanto dalle alleanze che si formano in Parlamento ma nella capacità attrattiva, magnetica, del personaggio che verrà indicato per installarsi a Palazzo Chigi. Un’Italia nel caos ha bisogno non di un premier, ma di più. Non un tecnico, ma un commissario. Magari un commissario tecnico. Un allenatore, un trainer con pieni poteri. Un Ventura, o meglio un saggio alla Bearzot con Mattarella al posto di Pertini. Sempre che il presidente siciliano sappia giocare a scopone come il suo predecessore ligure.