Con il garbo e la delicatezza che li contraddistinguono, Bossi e Maroni sono saliti sul palco di Pontida e, civilmente, hanno declamato un discorso all’insegna della concordia: «Chi ha detto che tutto va bene è un leccaculo», ha esordito il primo, spiegando che, ogni anno, la base dovrebbero giudicare gli eletti e i dirigenti e che, le spaccature, sono sanabili. «Andate a quel paese, giornalisti di regime!», ha detto il secondo, minimizzando le divisioni interne, per poi aggiungere: «siamo qui per testimoniare la nostra unità, il nostro grande progetto di macroregione». Nel frattempo, sotto al palco, una ventina di militanti schierati in opposte tifoserie, stavano per darsele di santa ragione. Luciano Ghelfi, giornalista Rai, era presente a Pontida e ci spiega il significato politico del raduno di quest’anno.
Partiamo dall’intervento di Bossi.
La prima cosa che ha detto è che i problemi e le divisioni ci sono, non si possono negare. E’ stato il modo in cui è riuscito a calmare i militanti. Che ancora una volta sia stato Bossi (il quale sovente scalcia, divide, e attacca Maroni) a farsi carico di riannodare le fila del discorso e di sedare gli animi, è tutt’altro che secondario.
Questo episodio cosa comporta?
Forte della sua capacità di fare da paciere e, quindi, del carisma che ancora esercita sui militanti, rivendica un ruolo da leader. D’altra parte, lo ha detto neanche troppo implicitamente, chiedendo che siano convocati i congressi e che l’operato dei dirigenti sia sottoposto alla base. Così facendo, pone un enorme problema a Maroni il quale, prima o poi, dovrà assumere iniziative in merito.
Bossi mira a riprendersi la segreteria?
Dubito che ne abbia la voglia e la forza.
Potrebbe dar vita ad una scissione?
Astrattamente, sì. Sarebbe sufficiente un solo gesto, e in molti lo seguirebbero. Si tratterebbe di una parte minoritaria del partito, ma tutt’altro che irrilevante. Non sono queste, tuttavia, le sue intenzioni. Pretende soltanto di avere voce in capitolo nel dettare la linea politica e sulla scelta dei dirigenti.
Cosa vogliono, invece, Luca Zaia e Flavio Tosi?
Anch’essi, a loro volta, stanno alimentando quelle divisioni di cui ha parlato Bossi (che, dal canto suo, ha esplicitamente fatto il nome di Tosi, attaccandolo). Rivestono cariche tra loro complementari ma, in sostanza, stanno lottando per la leadership della Lega in Veneto. Dopo Pontida, sarà necessario un chiarimento definitivo tra i due, che dovrebbe essere promosso da Maroni. Il segretario, per porre fine a questa guerra fratricida dovrà, una volta per tutte, definire ruoli e ambiti.
Da tempo i veneti rivendicano la segreteria confederale. Questo potrebbe essere il passaggio successivo?
Non nell’immediato, non essendo previsto da qui a breve un congresso.
Eppure, Maroni aveva promesso che, se eletto alla presidenza della Regione Lombardia, si sarebbe dimesso e avrebbe indetto un congresso per eleggere il nuovo segretario della Lega.
Questo sarà un nodo fondamentale da sciogliere. Il problema è che se dovesse prestar fede a quella promessa, la guerra fratricida esploderebbe in maniera definitiva. Prima di indire il congresso, quindi, dovrà effettuare una serie di operazioni politiche volte ad un chiarimento tra i dirigenti. Solo successivamente sarà possibile un confronto tra linee politiche in un congresso.
Cosa potrebbe accadere senza un chiarimento del genere?
La Lega si spaccherebbe. Ci sarebbero delle scissioni.
Anche Maroni, in ogni caso, una volta salito sul palco ha ribadito l’unità del partito.
Sul fronte interno, la parte del suo intervento in cui ha invitato alla pacificazione è stata indubbiamente la più importante. Sarà lui stesso, tuttavia, a dover compiere degli atti concreti perché essa sia portata a compimento.
Sul versante esterno, invece, che messaggio ha voluto lanciare?
Va rilevata la sua netta bocciatura del decreto che sblocca i pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni alle imprese. Su questo fronte, ci sarà sicuramente una serrata trattativa con Roma rispetto, in particolare, alla suddivisione della tasse. Ne ha fatto una battaglia personale e, in un modo o nell’altro, qualche risultato dovrà necessariamente portare.
(Paolo Nessi)