Potrebbe esserci il rischio di un rinvio del voto del referendum costituzionale 2016 previsto per il prossimo 4 dicembre. A lanciare l’allarme è il giurista Gustavo Zagrebelsky, come riporta l’Huffington Post. Zagrebelsky sostiene il voto per il referendum costituzionale potrebbe essere rinviato a causa dei ricorsi contro la formulazione del quesito referendario presentati dal presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida. I, giurista ha infatti spiegato che “uno dei ricorsi, quello presentato al tribunale civile di Milano, è rivolto a sollevare una questione di costituzionalità sulla legge che regola questo tipo di referendum. Se si solleva una questione di questo tipo, le cose vanno poi alla primavera, conoscendo un po’ i tempi della Corte. Il rischio è dunque che un’iniziativa del genere possa portare a rinviare la data del voto referendario” Zagrebelsky, contrario alla riforma voluta dal governo Renzi, ha sottolineato che dal punto di vista giuridico “esistono ottimi argomenti per sostenere la tesi di Onida, che porta allo smembramento della domanda in tante domande quanti sono i temi” anche se, ha aggiunto “io tutto quello che adesso può sembrare solo formale, e non sostanziale, per il momento lo lascerei perdere”.
Manca ancora un mese e mezzo al referendum costituzionale il cui voto è in programma il prossimo 4 dicembre e il dibattito politico sulla riforma voluta dal governo Renzi è sempre più infuocato tra i sostenitori del sì e quelli del no. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri si scaglia contro l’agenzia di rating Moody’s e annuncia una denuncia alla magistratura. Come riporta l’agenzia di stampa Agi Gasparri spiega: “Ci siamo stufati di questi inquinatori del dibattito. Sostengono quelli di Moody’s che se vincesse il No non si potrebbe fare l’aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena. Questi signori dovrebbero al contrario dire che se vincesse il SI di Renzi, Carrai, Serra e di tutti gli uomini della politica e della finanza di sinistra che hanno imperversato ieri e oggi avremmo conseguenze molto pericolose. Sono quelli del SI, infatti, che hanno gestito i provvedimenti sulle banche che hanno suscitato molti dubbi in questi anni di governo Renzi. Dal sospetto di insider trading per il provvedimento sulle banche popolari, a tanti altri episodi”.
Anche il referendum costituzionale 2016, il cui voto è previsto il 4 dicembre, è oggetto di scommesse da parte dei bookmakers inglesi. Secondo quanto riportato da Agipro, l’agenzia di stampa giochi e scommesse, come si legge su Forexinfo.it, per il bookmaker britannico Ladbrokes “gli italiani bocceranno la riforma del governo Renzi, che prevede la fine del ‘bicameralismo perfetto’, con la trasformazione del Senato in un organo rappresentativo delle Regioni (e la conseguente riduzione del numero dei suoi componenti)”. Il divario tra no e sì al referendum costituzionale 2016 non sarebbe però incolmabile secondo le quote fornite dagli scommettitori inglesi: “il no è dato a 1,73, il sì è un’ipotesi da 2,00”. Vedremo se nel prossimo mese e mezzo le quote dei bookmakers si modificheranno oppure no in vista del voto del 4 dicembre quando gli italiani saranno chiamati ad approvare o bocciare la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi.
Ne parlano in tanti sul referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre 2016, lo citano e lo ribaltano, partono polemiche e a volte insulti; responsabile della fine della democrazia oppure del vero rilancio dello Stato Italiano finalmente in grado di poter ricominciare a correre. Ma il Senato, se Renzi dovesse davvero ottenere la vittoria al referendum, come cambierebbe davvero? I contenuti purtroppo non sono molto al centro di una riforma costituzionale che se non cambia l’intera posta in palio della politica, quantomeno segna e segnerà i prossimi decenni per molti punti eterogenei sparsi nella riforma Boschi-Renzi. Certo, se dovesse vincere il No resta al momento invariato l’assetto centrale della nostra Costituzione, ma se invece fosse Renzi a spuntarla, come cambierebbe il bicameralismo nel suo aspetto più profondo? Intanto la Camera sarà l’unica a votare la fiducia al governo, con i deputati che restano 630 e verranno eletti a suffragio universale, come oggi. Il Senato invece avrà numero ridotto dei suoi membri – da 315 a 100, di cui 21 sindaci e 74 consiglieri-senatori), più 5 nominati dal capo dello Stato che resteranno in carica per 7 anni – e soprattutto avrà meno competenza rispetto alla norma. Azione legislativa solo su riforme costituzionali e leggi costituzionali, mentre sul restante versante delle leggi ordinarie avrà compito “consultivo” chiedendo alla Camera di modificarle ma senza avere il potere di bloccarle.
Dal punto di vista delle tutele, ci saranno le medesime per senatori e deputati, ovvero non potranno essere arrestati o sottoposti a intercettazione senza l’autorizzazione del Senato. Ultimo punto decisivo, come cambia grazie al nuovo Senato l’elezione del Capo dello Stato, da molti indicati come punto decisivo, visto che la fiducia di un governo la vota solo la Camera con la maggioranza data dalla legge elettorale Italicum (anche se probabilmente qualcosa cambierà anche qui a seconda di come finirà il voto del 4 dicembre). Il presidente della Repubblica verrà eletto dai 630 deputati e i 100 senatori. Per i primi tre scrutini occorrono i due terzi dei componenti della nuova assemblea; dal quarto si scende ai tre quinti; dal settimo scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Questi i fatti, i contenuti: e se Renzi e D’Alema parlassero più di questi, probabilmente, la disputa sarebbe meno “spettacolare” ma certamente più indicativa e con un forte fattore di utilità per il cittadino medio che, qui giustamente dice il Premier, delle correnti del Pd gliene importa meno del meteo in Armenia… (Niccolò Magnani)