Il federalismo fiscale, presentato e atteso come una delle più importanti riforme del paese diverrà presto realtò, quando il Governo presenterà i decreti attuativi in materia. Come un fulmine al ciel sereno è però stato pubblicato il libro del sociologo Luca Ricolfi, intitolato Il sacco del Nord che mette in guardia sugli esiti negativi che il federalismo potrebbe portare. Abbiamo quindi chiesto all’autore di spiegarci le sue perplessità.
Professor Ricolfi, leggendo le anticipazioni sul suo libro, lei sembra preoccuparsi degli esiti possibili negativi del federalismo ancor prima che i decreti attuativi della legge delega prendano forma. Perché?
Per due motivi. Il primo è che il federalismo parte senza una base di dati condivisa, con conti pubblici poco trasparenti (si pensi a quelli delle Asl) e gravissimi ritardi nell’aggiornamento dei dati. Basti pensare che il mio libro è uscito quest’anno, ma la maggior parte delle stime presentate fotografano la situazione del 2006, l’anno più recente per cui si dispone di una base statistica completa. Questo ritardo dei dati non è gravissimo per un lavoro scientifico, perché i dati di fondo non cambiano rapidamente, ma è inaccettabile per un processo politico: le singole Regioni e i singoli Enti locali non possono essere premiati e puniti sulla base dei loro conti di 3 o 4 anni prima.
Come mai questa situazione?
Perché in un decennio (la riforma del titolo V risale a dieci anni fa) non si è riusciti a riformare e velocizzare i conti pubblici territoriali. Un punto questo su cui Tremonti e Padoa Schioppa hanno insistito più volte, ma su cui finora – a mio parere – si è fatto troppo poco.
Qual è invece la seconda ragione delle sue preoccupazioni cui accennava prima?
Ho letto attentamente la legge 42 del 2009 e penso che non possa funzionare, è troppo macchinosa e ambigua sui punti cruciali.
Lei ha detto che il federalismo è una soluzione per rimediare a sprechi e inefficienze, ma solo sulla carta. Perché?
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I principi di base della legge sono condivisibili, ma in questo genere di materie i dettagli sono tutto. E i dettagli sono terrificanti, già solo per l’oscurità del linguaggio in cui la legge è formulata.
Quali sarebbero allora i requisiti per far funzionare a dovere la riforma federale?
Ci sono requisiti ovvi ma su cui non si può intervenire direttamente, primo fra tutti lo spirito civico, che significa anche abitudine a esercitare la protesta (voice, come la chiama Hirshman), che è il modo più efficace di costringere gli amministratori pubblici alla virtù. Ma il punto chiave è di tipo politico-comunicativo: le regole devono essere chiare, enunciate solennemente, e applicate inflessibilmente. Basta un solo episodio di ripianamento del deficit di un comune (si pensi al caso di Catania) da parte dello Stato centrale per mandare il messaggio sbagliato e demoralizzare gli amministratori onesti.
Di chi è la colpa del malfunzionamento del sistema Italia e dell’abisso economico e produttivo tra Nord e Sud visto finora?
Le colpe sono anche dei cittadini, l’Italia è da anni un paese “seduto”, in cui la laboriosità sta diventando una merce rara. Gli immigrati regolari, lentamente ma inesorabilmente, stanno diventando la spina dorsale del Paese, mentre gli italiani appaiono sempre meno capaci di iniziativa, di sacrificio, di umiltà. Quanto al divario Nord-Sud le colpe sono soprattutto delle classi dirigenti del Paese, che prima hanno depredato il Sud, poi l’hanno risarcito nel modo peggiore, con tanto assistenzialismo e nessun autonomia. Come un cattivo genitore, ad esempio un contadino, che prima sfrutta il lavoro dei figli nei campi e poi, quando sono adulti, vieta loro di trasferirsi in città.
L’intero paese è oppresso dal debito pubblico, che ha recentemente costretto il capo del governo ad un dietrofront sulla riforma fiscale. Qual è il vero problema della pressione fiscale nel nostro paese?
Il primo problema è che il nero è volutamente tollerato dalle autorità, perché l’economia sommersa è al tempo stesso una fonte di profitti e un potente ammortizzatore sociale. Inoltre l’evasione fiscale è molto più intensa nel Mezzogiorno, specie nelle regioni ad alto insediamento della criminalità organizzata: combattere seriamente il nero significherebbe alzare il livello dello scontro con le mafie, un passo che nessun governo ha finora avuto la forza di compiere.
Come dovrà essere e cosa dovrà fare una riforma fiscale per essere efficace?
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Non ho le idee chiarissime su questo punto, perché non l’ho ancora studiato a sufficienza (soprattutto in termini di simulazione degli effetti). Per quel che riesco a vedere, i problemi più gravi del nostro sistema fiscale sono quattro: l’eccessiva complessità; la tassazione separata delle rendite finanziarie, specie per quanto riguarda i titoli di Stato; il peso eccessivo dell’imposizione sulle imprese; il peso troppo basso delle imposte indirette e sul patrimonio. A mio parere una buona riforma fiscale dovrebbe spostare il prelievo sui consumi e sui patrimoni, alleggerire le imposte sui produttori (Irap e Ires), vietare la tassazione separata dei redditi di origine finanziaria.
Perché la tassazione delle rendite finanziarie è un problema?
Ci si stupisce tanto che ci siano pochissimi super-ricchi in base alle dichiarazioni Irpef, ma ci si dimentica che un soggetto che incassa 100 mila euro l’anno grazie al possesso d titoli di stato non è tenuto a dichiarare nemmeno 1 euro, visto che i suoi redditi sono tassati alla fonte con la ridicola aliquota del 12.5%.
E perché la soluzione dovrebbe essere spostare la tassazione sui consumi?
So che le imposte sui consumi (come l’Iva) non piacciono ai sindacati, perché si osserva, correttamente, che sono regressive (i poveri consumano una quota del loro reddito maggiore di quella dei ricchi). Si trascura però un punto fondamentale per un paese che ha tanto nero e tanta economia criminale come l’Italia: le imposte sui consumi sono le uniche che vengono pagate anche dagli evasori totali e dalla criminalità organizzata. Senza contare i benefici sulla bilancia dei pagamenti, visto che l’Iva colpisce le importazioni ma non le esportazioni.
Nella sua analisi il tenore di vita ha un ruolo fondamentale. Perché?
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È semplice: perché il tenore di vita medio del Sud è molto più alto di quanto si crede, e questo sia a causa del più basso livello dei prezzi, sia a causa della maggiore quantità di tempo libero. Una delle tesi centrali del Sacco del Nord è che il divario Nord-Sud esiste ed è molto ampio in termini di reddito prodotto, ma si riduce drasticamente se consideriamo il potere di acquisto del reddito disponibile, e addirittura si capovolge in un vantaggio del Sud se nel calcolo includiamo il tempo libero. È questa la ragione di fondo per cui il Mezzogiorno accetta lo status quo: questo assetto dei rapporti fra Nord e Sud è il solo che gli permette di vivere (ampiamente) al di sopra dei propri mezzi.