Non è sempre automatico il compattamento dopo l’unificazione-fusione di due movimenti politici come Fi e An confluiti nel Pdl. Anzi, le tendenze agli smarcamenti sono all’ordine del giorno, non foss’altro perché, per il partito di minor peso, si tratta di rivendicare spazio e visibilità, compresso dalla maggior pesantezza dell’altro. Il caso più emblematico riguarda l’apparente dualismo fra il Premier e il Presidente della Camera, laddove quest’ultimo da mesi non perde occasione per sollevare il ditino e distinguersi, a volte distanziandosi: sul caso Englaro-laicità dello stato, sulla vicenda dei respingimenti, sulle coppie di fatto ecc. Non è un male in sé questo salto laterale della terza carica dello Stato, almeno se resta all’interno di una polifonia di voci che il maestro dovrà poi impedire che diventi cacofonia. Il maestro Berlusconi fino ad ora ce l’ha fatta e, anzi, ha preso la palla al balzo per riaffermare la sua leadership indiscussa.
Il caso più evidente è stato offerto dai respingimenti dei barconi di clandestini alla Libia (dove lui stesso aveva firmato un accordo, peraltro oneroso per l’Italia, benché prospettico) svuotando i borbottii di Fini e, soprattutto, prendendo in mano la questione dei clandestini – sicurezza, togliendola alla Lega che ne sta facendo una indigestione: di voti. Una mossa del cavallo intelligente, anche se non ultima.
Il fatto è che le unificazioni costano a tutti e pongono nuovi e più complicati problemi perché, con una opposizione debolissima, la dialettica fra gli alleati di prima si sposta all’interno del Pdl, posto che Bossi ha il suo destino di battitore libero ormai segnato (a parte il referendum, che però sta barcollando fra sì, no e nì di sinistra, destra e centro).
L’esigenza della visibilità coincide, in questo sistema politico, con la sostanza della questione: se non sei in Tv, se non sei visibile, non esisti. Da ciò le minacce pubbliche di un Brunetta, forse il miglior attaccante di questo governo, di dimissioni se non passa il decreto che lo riguarda. Da ciò le impennate della Lega, da Milano a Roma, dall’Expo morattiana malvista dai bossiani (e tremontiani), col neoviceministro Castelli che parla ormai di una Expo in tono minore, dato che i soldi sono stati dirottati all’Aquila. Non è del tutto vero, ma i distinguo servono a fare fibrillare,a rendersi determinanti, a ottenere qualcosa, una poltrona in più, un osso, la polpa (degli appalti?).
In questo quadro “economico”, Tremonti appare il king maker, il detentore delle chiavi della cassa. È vero. Infatti la sua politica della lesina collide, nel caso dell’Aquila, con le promesse pubbliche e irrevocabili del Pemier sui fondi per la ricostruzione: tanti ma necessari e subito.
Vincerà anche questa volta. Troverà la quadra. È agevolato, anche, dalla nullità della opposizione.