L’editoriale di Paolo Mieli sul Corriere della Sera di giovedì ha certamente colpito la comunità degli addetti ai lavori. Poco più di cento giorni dopo l’avvicendamento fra Ferruccio De Bortoli e Luciano Fontana alla direzione del Corriere, il due-volte-ex direttore in Via Solferino (due volte predecessore dello stesso De Bortoli, al netto della parentesi di Stefano Folli) è tornato a firmare un column. Un articolo nel quale gli spunti d’interesse portati del contenitore – la firma di Mieli, dopo sei anni di parcheggio nelle pagine culturali di Via Solferino – sono sembrati fondersi con quelli insiti del contenuto: un’analisi dei rischi di sconfitta di Alexis Tsipras alle prossime elezioni greche sullo sfondo delle frammentazioni autolesionistiche della sinistra europea (dal Labour a Syriza, dalla Spd allo stesso Pd). Non bastasse, la pista aperta da “Mieli Terzo” è stata tenuta calda – sul Corriere di ieri, nello stesso format – da Angelo Panebianco: con un’incisiva profilatura dei risvolti politico-culturali di lungo periodo della “battaglia delle tasse” ingaggiata da Matteo Renzi, apparentemente con finalità di stimolo congiunturale dell’economia.
Siamo ancora lontani dal celebre endorsement che Mieli Secondo lanciò a favore di Romano Prodi all’inizio della campagna elettorale del 2006. Però il segnale politico-giornalistico che giunge dal Corriere sembra lontano anche dai classici intermezzi di fine estate. Anche perché si tende spesso a dimenticare che Fontana – prima di “corrierizzarsi” come uomo-macchina di Mieli e poi di De Bortoli – è stato il caporedattore dell’Unità diretta da Walter Veltroni: proconsole dei Ds nel primo governo dell’Ulivo; segretario del Ds e rivale interno di Massimo D’Alema; infine primo segretario del Pd e primo candidato premier del Pd, sconfitto nel 2008 dal terzo e ultimo Berlusconi vincente.
Il Corriere di Fontana che si rimette a parlare di politica – a fare politica – con Mieli “a sinistra” e “da sinistra” è stato soggetto centrale di quel ventennio “berlusconiano e anti-berlusconiano” per il quale Renzi martedì al Meeting di Rimini ha invocato “la rottamazione delle rottamazioni”. E non è affatto strano che il Corriere abbia improvvisamente accelerato sulla scia di un premier che – forse – rottamerebbe anche il Corriere: certamente quello di De Bortoli che, un anno fa, gli scagliò addosso un editoriale di estrema ostilità, culminato nell’accusa di essere giunto da Firenze a Palazzo Chigi su un’onda “stantia di massoneria”.
Non era quello, tuttavia, il Corriere di Mieli. Dal direttore giunto in via Solferino dalla Stampa di casa Fiat, in piena Tangentopoli era stato lanciato il primo siluro al Berlusconi-1: lo scoop sull’avviso di garanzia al Cavaliere-premier, la mattina di un G7 ospitato dall’Italia. Il giornalista figlio di un grande dirigente del Pci – custode dei quaderni di Gramsci ma poi in rotta con il partito togliattiano dopo la rivolta ungherese del ’56 – si immerse nel ’68 via Potere Operaio ma ne usci seguendo sempre più da vicino la parabola di Bettino Craxi: da molti indicato come il vero archetipo di Renzi.
Craxi primo leader politico italiano non ideologico – e forse perfino “non partitico” – e poi primo premier di un’Italia programmaticamente “moderna”, “riformista”, “laica” sia rispetto al cattolicesimo democratico che verso il socialcomunismo storico.
Mieli – a differenza del milanese De Bortoli – non ha mai considerato Berlusconi minimanente “fit” per guidare il Paese e invece un pericoloso avventuriero sgradito anzitutto all’America in quanto amico della Russia di Putin. Il direttore scelto da Giovanni Agnelli prima per la Stampa e poi per il Corriere conosce bene invece quali spazi abbia avuto la “sinistra europea” negli anni seguiti alla caduta del Muro (in fondo ci siamo ancora dentro). E Mieli, israelita, ha sempre avuto la stessa certezza ribadita con tono molto secco da Renzi a Rimini: per l’Italia la stella polare nella globalità rimane l’America (non, evidentemente, l’Europa, che pure ha co-fondato quasi settant’anni fa).
È comunque questo “direttore virtuale” del Corriere – richiamato in servizio presumibilmente dal nipote dell’Avvocato, tuttora primo azionista di Rcs – che a fine agosto 2015 ha scritto una singolare lettera aperta con molti destinatari. Renzi è sicuramente il primo: se vuole superare le ardue impasse autunnali (le riforme istituzionali, una manovra no tax no spending, un possibile escalation militare in Libia) deve “mettere la testa a posto”: smettere di essere un one-man-show circondato da una corte incerta e cominciare a fidarsi del “Corriere di Mieli”.
Ma anche nel Pd (e magari anche oltre) deve “finire la ricreazione”: Tsipras è un modello per come ha vinto le elezioni, cancellando vent’anni di “berlusconismo alla greca”, ma soprattutto per come ha gestito lo scontro con l’Europa merkeliana (scaricando i massimalisti di Syriza e facendo sponda sull’appoggio geopolitico degli Usa). Il resto – può darsi – sia sempre e ancora Fiat: ma – tramontato anche e forse soprattutto il “ventennio delle banche e dei banchieri” – di altro capitalismo privato – primo, secondo, terzo o quarto – si sono perse le tracce.