Un tempo i dati macroeconomici erano scanditi dal terrore dei trader davanti agli schermi. Nelle sale operative c’erano le sveglie puntate sui principali numeri che Bloomberg comunica secondo un’agenda precisa, ripetitiva ma che mai ha abituato chi lavora in finanza. Prima dei dati sulla disoccupazione americana si cancellavano gli ordini inseriti ancora sui mercati perché lo scostarsi, in positivo o in negativo, dalle attese degli analisti su un certo numero potevano portare i mercati a muoversi in modo travolgente. Ora è tutto diverso.
Diverso non significa che rimpiangiamo il non aver più colleghi con il colletto bianco alla Gekko che sul dato macro chiamano il giovane Buddy per urlargli contro di comprare qualcosa. Diverso significa che i mercati sembrano ormai insensibili alle notizie, a previsioni disattese, a colpi di scena. Sembra che azioni e obbligazioni sonnecchino, mentre i dati non le smuovono più e gli operatori li guardano distratti mentre finiscono il panino.
La grande liquidità immessa dalle banche centrali ha dato la possibilità alle grosse istituzioni di investire prendendo a prestito soldi a tassi bassissimi ed esse hanno comprato di tutto. Da ottobre 2011 l’indice SP500 è salito ininterrottamente del 46% segnando un nuovo massimo. Allo stesso tempo sono saliti i titoli di stato, l’oro (ma con fortuna inferiore), il petrolio (anche se meno virtuoso). Sembra che le correlazioni tra asset class siano finite. Finiti i bei tempi in cui se saliva il mercato azionario scendeva quello obbligazionario e viceversa. Addio oro come bene rifugio da comprare quando le azioni puzzavano di crollo. Ora sale tutto, con forza, perché le banche di investimento che prendono soldi a prestito dalle banche centrali li devono far fruttare e lanciano ordini di acquisto indistintamente. Con l’SP500 è salito anche il DAX (+50% nello stesso periodo), ma il mercato italiano no. Tuttavia non possiamo lamentarci o biasimare gli investitori esteri che ci evitano se non abbiamo un governo, abbiamo un debito pubblico incontrollato, un Pil che non cresce e finiamo sui giornali per scandali come quelli di Finmeccanica ed Eni.
Comunque sia, a dispetto dai dati macro riportati, questi acquisti stabilizzano tutto e annientano le sorprese. Ieri mattina sono stati pubblicati i dati sulla produzione italiana: -3,7% (a febbraio, su base annua) addirittura peggio delle attese. Questo dato non ha smosso il mercato e anche l’indice italiano ha continuato a salire con forza, spinto in primo luogo dalle banche. E proprio le banche hanno continuato a correre, nonostante fosse arrivato un comunicato terrificante dall’Unione europea.
In questo comunicato, la Commissione dice che le banche italiane sono diventate più deboli, che hanno difficoltà ad accedere ai mercati internazionali convenzionali della liquidità (prestiti a breve termine, anche un giorno, tra banche), che sono quindi dipendenti dai prestiti della Bce. In aggiunta viene sostenuto che le banche non partecipano a rilanciare l’economia tramite la loro attività tipica (ormai dimenticata): quella creditizia. Ce ne è anche per i conti dello Stato: con un colpo di genio la Commissione europea intuisce che l’alto debito italiano non è sostenibile in un contesto di contrazione della produttività e dell’economia in genere. Ma, udite udite, in questo contesto i mercati sono rimasti molto forti e il motivo è sempre quello: si deve investire a tutti i costi.
L’importante in questo momento pare non chiedersi cosa potrebbe succedere se le banche centrali ritirassero quest’ondata di liquidità. L’importante pare non chiedersi se i mercati potrebbero continuare a correre con le loro gambe senza questo fiume di denaro in regalo. L’importante pare non domandarsi perché, se va tutto bene e addirittura l’SP500 va a segnare nuovi massimi storici, la Fed non inizia a ritirare la liquidità immessa con i Quantitative Easing. Pare che ci voglian dire: godiamoci la festa. Fin che dura.
Rileviamo infine due note di colore. La prima. Dopo l’iniziativa degli scorsi giorni di Bank of Japan, ieri il governatore Kuroda ha sentito la necessità di intervenire nuovamente e ripetere che useranno tutti i mezzi a loro disposizione per raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2%. I mercati valutari, dopo un sussulto, son rimasti quieti. La seconda: mentre l’Ue riusciva con sorprendente e inattesa lucidità a definire finalmente la situazione italiana usando parole preoccupanti, il premier Monti si dichiarava soddisfatto per l’approvazione, da parte del Governo, del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria. Tronfio del suo operato, stabiliva che “il risanamento è avvenuto, che le finanze pubbliche sono su un sentiero sostenibile e che è stato centrato l’obiettivo del bilancio in pareggio in termini strutturali”.
Speriamo che non arrivi troppo presto la consueta smentita da parte della Corte dei Conti che, nel passato prossimo, ha ricordato che alzare le tasse e dare delle stime di crescita troppo generose non serve a risanare il Paese. La Corte dei Conti ricordò al Governo che aumentare l’imposizione fiscale su una base imponibile più bassa non porta a maggior gettito. Churchill descriveva un Paese con un’economia in contrazione che provava a crescere con l’aumento delle tasse paragonandolo a un uomo con due piedi in un secchio che provava a sollevarsi tirandone il manico.
Speriamo che nessuno smentisca Monti troppo presto, così, anche se per qualche ora, potremo tutti sognare di essere un po’ più ricchi.