Questa volta non si tratterebbe della solita mossa del cavallo berlusconiana, che lancia un nome per metterlo alla prova dei sondaggi e dei forum internettiani di centrodestra. Un passo in avanti e uno di lato. Secondo il Corriere della Sera Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, sarebbe il candidato di Silvio Berlusconi per Palazzo Chigi in caso di vittoria del centrodestra riunito. Se ne mormora da tempo, ma adesso sembra che il Cavaliere abbia tratto il dado. Del resto, non si scomoda una figura istituzionale europea soltanto per gettarlo in pasto ai sondaggisti.
Tajani ha un buon curriculum. È un azzurro della prima ora (fu eletto alla Camera nel 1994 quando prese aspettativa dal Giornale dove dirigeva la redazione romana); è un mediatore, ha una lunga esperienza in Europa prima come commissario Ue e poi alla guida dell’assemblea di Strasburgo, vanta un legame solido con Angela Merkel e mantiene quel basso profilo che, in linea di principio, può mettere d’accordo molti. Non è un’aquila che vola altissimo ma non è nemmeno uno spaccone che divide le alleanze.
Tajani è un po’ il Gentiloni del centrodestra, capelli grigi, eloquio lento, nessuna tendenza a battere i pugni sul tavolo, una democristianeria mediatrice nel sangue. Berlusconi ha fatto di tutto per metterlo a capo dell’Europarlamento e la scelta richiama un precedente importante, quando Forza Italia aderì al Partito popolare europeo. Era il 1998 e il riposizionamento azzurro sullo scacchiere dell’Ue fu visto come una benedizione delle cancellerie continentali, un avallo al “nuovo corso” del Cavaliere che si trovava in piena “traversata del deserto” e cercava legittimazione all’estero per guadagnare consenso all’interno.
Il tentativo si ripete. Lo schema di consolidarsi in Europa per accreditare una svolta in Italia si ripropone. Davanti allo scetticismo verso Renzi, che resta l’azionista di maggioranza del governo Gentiloni, Berlusconi tenta la carta Tajani. Il problema ora è costruirgli un’immagine presso gli unici che possono davvero spingerlo verso la presidenza del Consiglio, cioè prima gli altri leader del centrodestra e poi gli elettori. L’insistenza su una figura come quella del numero uno del Parlamento Ue segna comunque la definitiva presa di distanza dal populismo leghista. È con Matteo Salvini che si apre il braccio di ferro. Già l’elezione a Strasburgo fu vista come uno schiaffo ai leghisti, che infatti non lo votarono.
Ma ora Tajani i voti deve prenderli in patria, non nell’emiciclo europeo. Deve convincere il “popolo” del centrodestra che l’Europa non è un nemico e che Angela Merkel non è la strega di Hansel e Gretel. Il risultato non è per nulla scontato. È comprensibile che Berlusconi non voglia scontentare gli alleati comunitari, che hanno comunque nel presidente Mattarella il loro vero punto di riferimento, ed è anche chiaro che il prossimo anno — con il rischio di ritrovarci un Parlamento ingovernabile — è necessario affidarsi a uomini di mediazione, non di rottura. La scommessa del centrodestra per vincere sarà quella di tenere assieme i voti più estremi dei “no euro” tendenti all’Italexit e quelli dei moderati.
Il problema di Tajani è che egli non scontenta nessuno soltanto in apparenza. Salvini ha già aperto il fuoco di sbarramento: il candidato berlusconiano in pectore sarebbe “corresponsabile delle decisioni prese da Bruxelles sulle banche, l’agricoltura, le sanzioni alla Russia e i regali alla Turchia”. Mara Carfagna, il cui nome era pure circolato come possibile candidata premier del centrodestra, ha espresso “stima e apprezzamento”, tuttavia dice di non voler commentare “le indiscrezioni di stampa”. Nessun via libera dai colonnelli azzurri, insomma. I primi scogli da superare per Tajani sono tutti all’interno del centrodestra.