Le operazioni di alleggerimento monetario (Quantitative easing – Qe) servono a immettere moneta ritirando dal mercato titoli, principalmente pubblici, in circolazione, o meglio, presenti soprattutto nei portafogli bancari; la maggiore liquidità dovrebbe trasformarsi in maggiore credito all’economia e, dunque, nel sostegno all’attività di investimento delle imprese; al contempo, la maggior domanda di titoli dovrebbe accrescerne il prezzo e ridurne il rendimento, così consentendo un calo del livello dei tassi di interesse correnti sul mercato; a questi effetti si accompagna inoltre una contrazione del tasso di cambio che, nell’immediato, favorisce le esportazioni e dunque accresce il prodotto dell’economia.
Sono questi gli obiettivi che si pone la Bce con l’operazione annunciata da tempo e messa a punto nella riunione di Cipro; in concreto, questi obiettivi si riterranno raggiunti allorquando il tasso di inflazione si sarà riportato ad un livello prossimo al 2%. Sotto un profilo strettamente tecnico, le modalità di realizzazione delle operazioni appena definite, rilevano per:
Tempi: saranno avviate dal prossimo 9 marzo e continueranno almeno fino a settembre 2016 e comunque non prima di aver raggiunto l’obiettivo della stabilità dei prezzi (inflazione al di sotto, ma prossima al 2%);
Quantità: saranno immessi 60 miliardi di euro al mese (di cui 43 relativi ai titoli sovrani) con un limite del 33% per singolo emittente; al livello di singolo Paese, invece, vale la quota di partecipazione alla Bce; l’Italia, che ha una partecipazione pari al 17,5%, potrà contare su acquisti di titoli per un totale di oltre 140 miliardi (circa 7,4 al mese);
Obiettivi di rendimento: saranno acquistati titoli anche con rendimento negativo (come si registrano in Germania), che non potrà comunque essere inferiore al tasso sui depositi presso la Bce (confermato nel -0,20%);
Condivisione del rischio: la Bce è esposta al rischio di perdite solo sul 20% degli acquisti (12% di titoli nazionali e 8% di titoli emessi da organismi comunitari, quali ad esempio Bei ed Esm); per il restante 80% le eventuali perdite graveranno sulle rispettive banche centrali nazionali.
È lecito chiedersi se questo ulteriore intervento non convenzionale (dopo le Tltro e le Omt) consentirà di superare definitivamente la lunga fase di recessione e deflazione (-0,3% a febbraio), consolidando i timidi segnali di ripresa che si stanno registrando (grazie alla riduzione del prezzo del petrolio e alla svalutazione dell’euro) e, anzi, generando i medesimi effetti che stanno sperimentando gli Stati Uniti, dopo una cura di Qe avviata nel 2008 e durata sette anni, in termini di crescita sostenuta sia della produzione e sia dell’occupazione.
Il semplice richiamo alla differente situazione politico-istituzionale delle due aree (Stati Uniti ed Europa) mi consente di non addentrarmi in confronti che di per sé risultano già molto complicati. Soffermandoci sulla situazione dell’eurozona corre invece l’obbligo di segnalare quanto segue:
La creazione di liquidità sarà, come detto, molto abbondante, ma non è detto che questa circostanza consenta di per sé di accrescere il volume del credito all’economia; soprattutto in paesi come il nostro, l’ostacolo alla concessione del credito non è tanto la liquidità, quanto la rischiosità percepita delle operazioni proposte.
A questo elemento deve aggiungersi la naturale ritrosia delle banche ad accrescere l’esposizione al rischio di credito in una fase nella quale l’attenzione della vigilanza al rispetto di requisiti patrimoniali piuttosto elevati è giustificata dalla necessità di assicurare la stabilità bancaria. L’esperienza della crisi non ancora alle spalle è troppo scottante per consentire distrazioni. Può essere molto utile a tal riguardo la più volte richiamata necessità di ripulire i bilanci delle nostre banche dalle scorie del passato (le sofferenze) con la creazione di una bad bank: ricordo che da questa operazione potrebbero liberarsi nei bilanci delle banche gli spazi necessari per l’assunzione di nuovi rischi.
Il livello dei tassi di interesse è già molto basso e in taluni paesi si sta verificando il paradosso dei tassi negativi (si impiega il risparmio in titoli sovrani che generano perdite e, per contro, si viene premiati se ci si indebita!); lo spread italiano è finalmente sceso sotto i 100 punti base, a livelli ante crisi; in questa situazione non si può pensare a un margine di ulteriore, significativa riduzione, ma si deve rafforzare l’obiettivo dell’espansione monetaria, ovvero la crescita economica, col ricorso ad altri strumenti, anche di quelli propri della politica economica (investimenti pubblici e alleggerimento fiscale); l’obiettivo vero non deve essere tanto la riduzione dei tassi quanto il raggiungimento di ritmi di crescita che si situino, stabilmente, a un livello superiore a essi! La previsione di crescita per l’eurozona è stata rivista al rialzo e si dovrebbe attestare sull’1,5% nel 2015 e portarsi al 2,1 % nel 2017; parimenti l’inflazione, rivista a 0 per l’anno corrente, dovrebbe crescere fino all’1,6% nel 2016 e all’1,8% nel 2017.
Il tasso di cambio dell’euro sta già scontando gli effetti dell’alleggerimento monetario, proseguendo una discesa avviata da tempo (-20% in un anno) e che ha raggiunto il livello minimo da 11 anni; ulteriori aggiustamenti potranno derivare da altre circostanze, verosimilmente favorite anche dalla realizzazione concreta dell’immissione di moneta.
In un sistema quale quello dell’eurozona in cui il peso dei debiti di stati, imprese e famiglie è molto elevato ed è principalmente mediato dall’intervento delle banche, strategie di sviluppo di lungo periodo devono necessariamente puntare a un contenimento del livello dei tassi di interesse reali di lungo termine e a un contenimento del costo dell’intermediazione bancaria. Su questi due elementi, che comunque non esauriscono le condizioni favorevoli alla crescita economica, è chiamata a fare la sua parte la Banca centrale europea con l’uso degli strumenti che le sono propri, ovvero la politica monetaria e la vigilanza.
È in questo contesto che vanno correttamente inquadrati, da un lato, gli strumenti monetari sempre meno “convenzionali” quali il Qe e, dall’altro, gli interventi volti a rendere solide ed efficienti le banche (coefficienti patrimoniali e stimoli concorrenziali). La banca centrale fa quello che può (“Le nostre misure di politica monetaria hanno funzionato”, si è compiaciuto Draghi nella conferenza di commento delle misure adottate) e talvolta, come in questo caso, dopo una fin troppo lunga gestazione per le note ragioni (politiche monetarie comuni in presenza di congiunture economiche affatto diverse nei 19 paesi dell’euro): politiche economiche efficaci richiedono anche volontà politiche che risiedono nei singoli governi e volontà di cooperazione da esercitare nelle istituzioni comunitarie.