“Attualmente cerco di spenderli il meno possibile, perché spero che si alzi, spendo meno, tengo da parte. Però è un momento temporaneo, in futuro non sarà così. Quando il prezzo si sarà stabilizzato, inizierò a spendere quello che ho”. Domanda: ma allora è stato un grosso investimento? “È stato tempo perso, perché non sapevo quello cosa fosse: mi occupava tutto il computer, non riuscivo a fare altro. E io dopo un po’ di giorni ci ho dato su. Però quel poco che ho fatto vale ancora abbastanza”.
Chi è il misterioso intervistato? Uno speculatore finanziario? Uno di quelli che ha scoperto un modo di fare soldi col computer, operando in borsa con operazioni lampo? Uno di quelli che ne ha approfittato, prima che tutti iniziassero a usare il computer, per fare lo stesso e poi rendere inutili quei programmi software? Niente di tutto questo. Si tratta di tale Franco Cimatti, uno dei primi in Italia a “minare” la moneta elettronica Bitcoin, cioè a utilizzare un programma di computer (che per sua stessa ammissione impegnava totalmente il macchinario tanto da renderlo inservibile) per elaborare calcoli complessi e ottenere un premio in valuta Bitcoin per le elaborazioni svolte.
Ora il Bitcoin, moneta elettronica e virtuale per eccellenza, inizia a diffondersi in tutto il mondo e ad avere una sempre maggiore spendibilità, visto il crescente numero di esercizi commerciali disposti ad accettarlo. Ma a cosa è dovuto questo successo che appare inarrestabile? E, soprattutto, è vero successo? Da queste colonne ho già criticato numerose volte il sistema Bitcoin, partendo da un nodo cruciale a me caro: cos’è la moneta? E i Bitcoin sono vera moneta? Perché se la moneta in qualche modo deve rispecchiare il valore dei beni, allora non si capisce a fronte di quale bene nascono i Bitcoin. E se il valore odierno dei Bitcoin c’è perché (e finché) ci sono persone che ci credono e hanno fiducia in questo mezzo di pagamento, allora la vera moneta è la fiducia, non il Bitcoin o l’euro o qualsiasi altro strumento monetario riscuota (temporaneamente) la fiducia del popolo. E la fiducia è ben riposta se lo stesso strumento monetario lavora positivamente per sostenerla.
Ma allora, da cosa deriva questa fiammata di fiducia nel Bitcoin? La fiducia deriva sempre da condizioni oggettive che la favoriscono e la richiedono. Nel caso del Bitcoin, questo nasce nel 2009 quando è ormai in corso una crisi monetaria, per la quale le monete ufficiali più diffuse al mondo (euro e dollaro) si rendono sempre meno disponibili alle esigenze dell’economia reale. Quindi, senza questa crisi, il Bitcoin sarebbe un esercizio curioso confinato in qualche laboratorio di università. Invece, con la fame crescente di liquidità che attanaglia fasce sempre più vaste di popolazione, il fenomeno Bitcoin è divenuto anche un fenomeno sociale e mediatico.
Infatti, ad alimentare il fascino di una ricchezza facile hanno dato il loro contributo tanti media, quegli stessi che in questi decenni non hanno certamente contribuito alla diffusione (o alla cernita) dei valori. Così viene esaltato il fatto che tale Franco Cimatti abbia realizzato guadagni percentuali favolosi (1000% o forse più, e pure facendo senza sapere cosa stesse facendo, come da lui stesso candidamente ammesso), ma nulla si dice sul fatto che ora lui tenga da parte gelosamente il suo gruzzolo, confidando in un’ulteriore crescita del suo patrimonio.
Ma proprio in questo atteggiamento, cosa lo distingue da un classico speculatore finanziario? Ha forse creato ricchezza reale? Ha prodotto qualcosa? Se è vero che “stampando moneta si rovina l’economia”, come ripetono tutti i denigratori di un ritorno alle monete nazionali (e fanatici dell’euro), perché in questo caso nessuno dice nulla?
Oggi non c’è dubbio che ogni Bitcoin valga tanti euro e tanti (più!) dollari, ma questo depone a favore dei Bitcoin o a sfavore della salute delle monete ufficiali? E la malattia grave delle monete ufficiali può essere considerata di buon auspicio per il Bitcoin, visto che questo stesso sistema è quello che dà tanto valore al Bitcoin? In fondo il valore del Bitcoin, rispetto alle monete ufficiali, è ben guadagnato, bisogna riconoscerlo. Ma è ben guadagnato grazie a una peculiarità che non so bene quanto sia positiva. Infatti, tale valore è dovuto a una caratteristica intrinseca del Bitcoin (come di tante monete similari nate sulla scia della fama): la rarefazione monetaria.
La rarefazione monetaria è quel fenomeno che esalta il valore di chi possiede moneta e allo stesso tempo deprezza il valore di ciò che quella moneta potrebbe guadagnare, cioè il lavoro (o il frutto del lavoro). Quindi l’esaltazione del valore di una moneta (sulle altre monete, ma molto di più sul lavoro umano) è precisamente la descrizione del fallimento di un sistema monetario in funzione dell’economia reale, in funzione del bene comune.
E gli avvenimenti politici ed economici di questi giorni ne sono una triste testimonianza. Le smentite di una manovra aggiuntiva si ripetono da oltre due mesi: da Renzi in giù, tutti a smentire l’ipotesi di un nuovo intervento nelle tasche degli italiani. L’ultimo è stato Baretta, sottosegretario al Tesoro, intervenuto dopo qualche giorno dalle dichiarazioni del ministro Padoan. Ma qualche giorno fa, di fronte a medesime domande, la risposta è stata un laconico “no comment”. Del resto, il nostro ministro è impegnato in delicate faccende: in Cina per promuovere la vendita (svendita?) del 35% della Cdp Reti, società che controlla in Italia il trasporto di gas (Snam) ed energia (Terna).
Stiamo vendendo il casottino dell’energia elettrica di casa nostra a un nostro vicino (nemmeno troppo vicino) e nessuno dice niente. Che interessi può avere lui? Sono i nostri interessi? Viene un certo sospetto: che la deflagrazione dei conti dell’Italia, inevitabile in caso di mancata crescita (come ormai tutti prevedono facilmente, pure io!), sia un altro favore ai cinesi (o ai cinesi di turno) per comprarsi i nostri beni per un tozzo di pane. Ma ci son beni, soprattutto spirituali, che non sono facilmente vendibili. E l’essere italiani non è una dote vendibile.