All’indomani della vittoria – schiacciante – dei movimenti anti-europei alle elezioni politiche italiane l’Europa si vendica ricordando che nei prossimi mesi si giocheranno a Bruxelles partite fondamentali per il futuro dell’Unione e delle nazioni che ne fanno parte, volenti o nolenti. Il rischio è lasciare il terreno ai competitori massimi di Germania e Francia, ai rivendicativi Paesi baltici e all’aggressivo raggruppamento dell’Est senza riuscire a entrare in nessuna delle combinazioni nonostante il nostro stato di terza potenza politica e seconda manifatturiera.
Il gran rifiuto della Gran Bretagna ci regala un ruolo finora impensabile di ago della bilancia. Ruolo che meriterebbe di essere compreso e interpretato con tutt’altra consapevolezza e lungimiranza perché il nostro futuro dipenderà molto da come sapremo stare in campo.
Anche se la promessa-minaccia di uscire dall’euro ha perso gran parte della sua forza polemica, resta ancora da stabilire una linea di comportamento condivisa che definisca il nostro posizionamento con il doppio vantaggio di recuperare dentro e fuori chiarezza e credibilità. In particolare, nei prossimi mesi ci sarà da discutere il nuovo bilancio europeo con il rischio che si metta in crisi la politica di coesione (tanto cara al Mezzogiorno) a favore di altri interessi meglio presidiati. Gli assenti hanno sempre torto e a nulla valgono i ravvedimenti tardivi.
Ci sarà poi da rinnovare, all’inizio del prossimo anno, il Parlamento di Strasburgo e sarà molto difficile replicare il successo (più individuale che di squadra) che ha portato l’italiano Antonio Tajani a sedere sulla sedia del Presidente regalandoci vantaggi diretti e indiretti. Finirà inoltre l’era di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea – nel 2019 – e molte nubi s’addensano sul futuro del Quantitave easing che i nostri partner più virtuosi non vedono l’ora di cancellare. Quanto ci costerà a quel punto collocare e ripagare i titoli del debito pubblico?
Insomma, con l’Europa non si scherza. Per quanto criticabile per i suoi riti stanchi, le decisioni che a volte sfidano il ridicolo, gli insostenibili tempi di azione e reazione, gli eccessivi costi di gestione, la mancanza di visione comune, all’Unione non c’è ancora alternativa possibile. Piuttosto che demonizzarla mettendo in evidenza solo le criticità, vale la pena tentare di condizionarne il funzionamento iniettando nel sistema dosi sempre maggiori di ragionevolezza. La vera sfida è mostrare di esserne capaci evitando di rifugiarsi in sterili proteste.
Ci vogliono idee chiare e persone preparate per affermare il nostro punto di vista, la nostra convenienza. E l’esperienza insegna che la maggior parte dei provvedimenti ostili all’Italia sono stati ignorati da chi ci rappresenta durante l’iter formativo se non addirittura approvati. L’Europa della crescita, dell’inclusione, del libero mercato, della concorrenza, della competitività può e deve essere la soluzione e non il problema. Sta anche a noi lavorare in questa direzione studiando da capoclasse per non finire mai più in punizione dietro la lavagna.