Il governo ha approvato ieri il Documento di Economia e Finanza 2013. Il rapporto debito/Pil crescerà al 130,4% nel 2013, per poi ridursi al 129% nel 2014 e al 125,5% nel 2015. Il deficit nel corso di quest’anno raggiungerà il 2,9%, calando quindi all’1,8% nel 2014 e all’1,5% nel 2015. Cifre positive per quanto riguarda l’avanzo primario, cioè per la differenza tra la spesa pubblica e le entrate tributarie al netto degli interessi sul debito: +2,4% sul Pil nel 2013, +3,8% nel 2014 e +4,3% nel 2015. Ilsussidiario.net ha intervistato Guido Gentili, editorialista de Il Sole-24 Ore.
Per il Def, il Pil crescerà del 3,9% da qui al 2020 e del 6,9% nel lungo periodo. Possiamo tornare a essere ottimisti?
Come abbiamo visto nel recente passato, le previsioni nell’arco di periodi così lunghi si sono sempre rivelate fallaci. Mi riferisco in particolare alle previsioni fatte a fine 2011 e a inizio 2012, relativamente al decreto cresci-Italia, sull’impatto delle liberalizzazioni quantificate in punti di Pil. I calcoli ottimistici non sono stati confermati dai fatti, e quindi dal punto di vista dell’assetto previsionale del Def preferisco essere molto più cauto. Negli ultimi mesi del resto le stime sulla crescita, o meglio sulla decrescita del Pil, sono state corrette continuamente.
Come valuta invece i dati sull’avanzo primario?
Si tratta di dati scontati in quanto le progressioni inserite nel Def sono compatibili con i piani di rientro dal debito pubblico come previsto dal Fiscal Compact. Abbiamo quindi bisogno di aumentare l’avanzo primario per ridurre di un ventesimo ogni anno la quota eccedente del rapporto debito/Pil. Quest’ultimo nel 2013 si attesta al 130,4%, registrando un ulteriore incremento, e quindi l’avanzo primario è indispensabile per tenere la situazione sotto controllo.
L’Italia da questo punto di vista si dimostra un Paese virtuoso?
Su questo terreno l’Italia ha già svolto bene i suoi compiti a casa, superando la stessa Germania nel 2012. Il bicchiere mezzo pieno è rappresentato quindi dagli elementi contenuti nel Def e da quelli relativi all’andamento reale dei mercati, che ieri sono cresciuti registrando una riduzione sostanziosa dello spread.
Su che cosa occorre ancora lavorare?
A mancare è tutta la parte della crescita. E’ anche per questo che ieri la Commissione europea ha acceso un faro sul fatto che l’Italia, per i suoi squilibri strutturali, rappresenta una possibile fonte di contagio per l’Europa.
Eppure il Def sottolinea che “numerose misure introdotte nel 2012 erano rivolte alla crescita”. Ritiene che non sia stato così?
Il 2012 si è concluso con una decrescita del Pil pari al 2,4%, con un livello di gran lunga peggiore rispetto alle previsioni del governo. Lo stesso esecutivo ha dovuto rivedere al ribasso l’andamento del Pil nel 2013, con un -1,3% che alla luce di quanto avvenuto finora appare una cifra fin troppo ottimistica. Altri report anticipano una decrescita nel 2013 di circa il 2%.
Il Def vanta meriti infondati?
Le misure per la crescita citate nel Def sono state effettivamente prese, e mi riferisco in particolare a quelle per le start-up, per il sostegno alle imprese, ai fondi di intervento e di garanzia. L’impatto sulla crescita però francamente non lo abbiamo ancora visto. Speriamo che gli effetti benefici si producano entro la fine dell’anno, anche se l’unico provvedimento tra quelli attuati che potrebbe aiutare nel breve periodo è lo sblocco dei debiti della Pubblica amministrazione.
Finalmente i 40 miliardi di euro stanno per arrivare alle imprese …
E’ un tema, quest’ultimo, sul quale il governo si era impegnato a partire dal maggio scorso, promettendo che i pagamenti sarebbero partiti entro l’autunno. Così non è stato, poi il presidente del consiglio ci ha spiegato che ciò non poteva avvenire perché avremmo sforato il rapporto deficit/Pil. Ora le cose sono cambiate e possiamo farlo, anche se in realtà le procedure sono molto farraginose, tanto che le imprese mettono in guardia sul fatto che di fatto i pagamenti non sono ancora stati effettuati.
(Pietro Vernizzi)