Nel fascicolo del dieci dicembre, il paludato e compassato The Economist, definisce Matteo Renzi Il Rottamato e si chiede perché non cerchi di salvare quel po’ di reputazione che gli resta mantenendo l’impegno di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale. Alla Casa Bianca sono furiosi: la telefonata di “condoglianze” fatta da Obama a Renzi (dopo lunghe e incessanti richieste della diplomazia italiana) sarebbe dovuta restare segreta o riservata, non spiattellata da Filippo Sensi a tutti i giornali e giornalisti italiani. Gli altri giornali stranieri, anche se non sempre così duri come The Economist, non presentano analisi meno severe. Soprattutto in Europa, dove – sottolineano – l’Italia di (mal)governo Renzi è una mina per il resto del continente.
Ormai che non ha avuto più il reincarico, si agita tanto non solo per tenere saldi le redini sulla sua “visione dell’avvenire dell’Italia”, quanto per qualcosa di più tangibile: le nomine. In primavera, scadono gli incarichi di presidenti, consigli di amministrazione e amministratori delegati di gran parte dell’economia italiana in cui la mano pubblica conta ancora: Eni, Enel, Terna, Leonardo (ex Finmeccanica), Poste, nonché Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio e numerose piccole istituzioni.
La legge n. 444 del 15 luglio 1994 ha disciplinato la prorogatio degli organi amministrativi, la cui configurabilità era stata a lungo dibattuta in dottrina e in giurisprudenza. Essa consente la proroga degli organi dello Stato, degli enti pubblici o a partecipazione pubblica, per i 45 giorni successivi alla scadenza; durante questo periodo possono essere adottati atti di ordinaria amministrazione e atti urgenti e indifferibili, con indicazione dei motivi di urgenza e di indifferibilità. Renzi vuole avere le mani in pasta nel distribuire poltrone a destra e a manca e, quindi, benemerenze per la sua rentrée in politica (se mai abbia vera intenzione di effettuare almeno un sabbatical). Ha anche proposto che Luca Lotti resti a palazzo Chigi per presidiare in suo nome.
All’estero non sono affatto preoccupati per le celebrazioni dei sessanta anni della firma del Trattato di Roma e ancor meno per il G-7 di Taormina: sono pure cerimonie che possono essere svolte dal nuovo Presidente del Consiglio Gentiloni. Sono preoccupati per le riforme che il Governo Renzi, in tre anni a palazzo Chigi, nonha fatto utilizzando come arma di distrazione di massa il riassetto istituzionale: settore finanziario (banche), concorrenza, commercio, mercato del lavoro e, soprattutto, consolidamento della finanza pubblica (invece di distribuire regalini elettorali a destra e a manca).
I mercati finanziari europei sono rimasti abbastanza stabili, nonostante Renzi abbia terrorizzato gli elettori prevedendo un tracollo delle piazze in caso di perdita al referendum. Ma è scoppiata la bomba del Monte dei Paschi di Siena, istituto più antico d’Italia, terzo in numero di correntisti, controllato da anni dal gruppo del Pd vicino a Renzi.
Naufragato il piano di ricapitalizzazione predisposto da JP Morgan e da Mediobanca, dopo un secco no della Banca centrale europea ad altre soluzioni immaginifiche, sta per essere nazionalizzato (a carico dei contribuenti). Il “rottamatore”, distratto anche lui e i suoi fidi dal sogno di cambiare l’Italia per introdurvi un regime alla Francisco Franco, non contento di avere “rottamato” se stesso ha anche “rottamato” una delle più antiche e maggiori banche europee. Avrebbe potuto evitarlo solo se avesse seguito le proposte di un piccolo partito, i Conservatori e Riformisti, di informare, utilizzando anche la pubblicità pubblica televisiva, gli italiani del cambiamento delle regole europee. Non solo, tra le grandi banche, il Monte dei Paschi non è l’unica nei guai, ma anche Unicredit e numerose piccole e medie.
Visto con il cannocchiale, Renzi lascia l’Italia molto peggio di come l’ha trovata: ultima nell’eurozona in termini di crescita per il 2017 (anche peggio della Grecia), con disoccupazione elevatissima, con una minore capacità di produzione manifatturiera. Ora che non è più a palazzo Chigi sccetti la proposta del Governo di Papua Nuova Guinea di andare con le donne e gli uomini a lui più vicini a riformare la Provincia di Enga.