Piazza Affari sta navigando intorno ai ventimila punti. Ben lontana dalle quote dei “tempi d’oro”. Ma anche migliore dai momenti di panico della “prima caduta” dell’autunno del 2008 e dei primi due mesi, ricordati come infernali, del 2009. Dopo il rally partito l’11 marzo di quest’anno, la Borsa milanese è salita continuamente per nove settimane di fila. Poi ha corretto, quasi fisiologicamente, e ora si sta assestando in un periodo, quello estivo, che non è mai stato il più adatto alle contrattazioni. Così come ha fatto Piazza Affari, con lievi differenze, hanno fatto tutti i mercati finanziari del mondo nell’epoca di quella che ormai viene definita come quella della “grande crisi”.
Il problema reale è che dall’agosto del 2007, quando scoppiò la bolla dei subprime, tutti si aspettavano la grande tosatura, quella di una “pecora”, per fare un’immagine comparativa, che era grassa e ricca di riccioli di lana a causa di una “droga” che prima o poi doveva portarla a una brutale disintossicazione. Rimpiangere quei tempi di “falsa ricchezza” sarebbe una pazzia. Un momento di ubriacatura della finanza trasformatasi in un supermarket, dove la maggioranza degli operatori guardava ai tempi brevi, a un mordi e fuggi che non ha nulla a che vedere con una razionalità passabile nella gestione dell’economia e della finanza.
Ora, dopo la tosatura, si è aperto uno scenario pieno di mille interrogativi. Se da un lato si discute su una nuova regolamentazione del sistema finanziario, dall’altro ci sono due opposte analisi sulle realtà che ci aspetta nei prossimi mesi. Da un lato c’è chi pensa che, anche in base ai dati contraddittori, ma non più di sprofondamento, dell’economia reale, si stia assistendo a una lenta ma sicura fuoruscita dalla “grande crisi”. Dall’altro lato ci sono coloro che immaginano una sorta di “seconda ondata”, cioè un nuovo generale ribasso del valore dei titoli perché alcuni nodi all’interno del sistema devono ancora venire al pettine.
C’è chi guarda con apprensione alle manovre disinvolte di Goldman Sachs e JP Morgan, che sono ritornate a macinare utili in modo impressionante. E la domanda che nasce è naturale: come stanno operando? Secondo i vecchi metodi? Poi c’è apprensione per quella che già un anno fa veniva definita una “bomba”, cioè quella delle carte di credito, dove si può nascondere un altro “mare di
insofferenze”.
Si può dire che i mercati siano entrati in una sorta di nevrosi, dovuta al crollo dello scorso autunno e all’immagine storica degli impiegati di Lehman Brothers che escono dai loro uffici, con scatolino in mano, dopo la proclamazione del fallimento di un’istituzione storica. La nevrosi è contrassegnata da un’estrema volatilità, da poca voglia di rischio, dalla conseguente voglia di realizzare appena si presentano “trimestrali” i cui risultati sono noti a tutti prima ancora che siano pubblicati. Soprattutto la nevrosi si manifesta in una cultura slegata dalla nuova realtà del mercato.
Sia i pessimisti che gli ottimisti sembrano attratti da una visione dei mercati finanziari più vicina a quella di una specie di “casa da gioco”, dove si entra, si vince e o si perde. Ma quando si configura questa immagine nella testa degli investitori finisce sempre con una bolla che scoppia fragorosamente. È proprio questa immagine, da “roulette” o da “chemin de fer” che porta a momenti di euforia fuori luogo quando la Borsa si riprende e a momenti di scoramento, anche questi fuori luogo, quando la Borsa cala o ritraccia o si riallinea ai valori reali dell’economia reale.
Forse i mercati finanziari che vivono in questo momento, dopo la fase più acuta della “grande crisi”, stanno portando invece una indicazione e, in fondo, una lezione. Si può dire che siamo entrati in una nuova fase storica, in una nuova epoca che durerà per molto tempo, comunque per diversi anni, dove le fortune improvvise legate alla Borsa e agli investimenti rischiosi e spericolati saranno un ricordo di tempi andati. Insomma il mondo della finanza, inteso in senso lato, non sarà più l’esclusivo mondo della ricchezza e dell’autoreferenzialità. Con tutta probabilità questo mondo, che è diventato anche “icona hollywoodiana”, dovrà fare i conti con regole politiche che tutelano interessi più generali e dovrà pure piegarsi alle principali esigenze dell’economia, quelle della produzione e dei piani di lungo periodo della accumulazione della ricchezza.
È verosimile quindi che non assisteremo più a una drammatica “seconda ondata”, almeno della portata di quella vissuta sui mercati un anno fa, ma non vedremo neppure più i valori delle Borse correre in modo slegato completamente alla realtà dell’economia reale. Se questo è quello che si aspettano gli analisti più assennati che si pronunciano da una sponda all’altra dell’Atlantico, vuol dire che la crisi, con tutti guasti, ha riportato un poco di ragionevolezza sui mercati. Come dice Paul Krugman il mestiere delle banche «ritornerà a essere noioso ma non dannoso». E quello dell’investitore sarà legato a una consapevolezza e a una razionalità economica, non da casinò.