Gli scontri al centro di Roma con i No Tav e le maschere di Guy Fawkes hanno coperto il vertice tra Enrico Letta e François Hollande che, Torino-Lione a parte, doveva servire a tracciare quella linea comune che il governo italiano va da tempo cercando, una sponda per bilanciare l’egemonia tedesca nella politica economica europea (non in quella estera dalla quale Berlino si ritrae). “Italia e Francia vogliono lavorare insieme perché la prossima legislatura sia quella della crescita”, ha detto Letta. Domani incontra Angela Merkel e spera di non sentirsi rivolgere le solite prediche. Al contrario, vorrebbe strapparle qualche impegno, almeno a parole, su occupazione e crescita.
La speranza che si possa creare un asse di sinistra tra Pd, Partito socialista francese e Socialdemocrazia tedesca, sul quale far leva per “andare oltre l’austerità”, è svanita. È vero, la Spd riuscirà a inserire nel programma della Grosse Koalition il salario minimo e alcune misure per ridurre una frattura sociale che cresce anche in Germania. Ma sono pannicelli caldi. I socialdemocratici sono in ritirata sui fronti principali: no agli eurobond, no a mettere in comune il debito sotto qualsiasi forma, no anche alla proposta dei cinque saggi tedeschi di creare un fondo di riscatto nel quale far confluire la quota di debito pubblico superiore al 60%. Non tira, del resto, aria federale in un’Europa che ha respinto anche l’ipotesi di far nascere una sola Iva. L’imposta sul valore aggiunto sarà diversa, decideranno i singoli stati i quali, sotto l’etichetta dell’“armonizzazione”, si faranno concorrenza fiscale.
L’Europa si rinazionalizza, un processo che va avanti dalla crisi del 2008, con alti e bassi. E adesso siamo in un momento decisamente basso. Nella zona euro, la moneta unica diventa sempre più un paniere perché in realtà ci sono molti euro: quello del nord e quello del sud, quello tedesco e quello italiano. Gli investimenti che stanno tornando nel vecchio continente vanno verso l’euro tedesco che dà interessi più bassi, ma sicuri. E, per quanto riguarda le attività produttive, garantisce tassi di profitto non elevati, ma solidi. Del resto, basta guardare i flussi dei capitali che accompagnano quelli delle merci. L’Unione europea ha messo nel mirino la Germania per eccesso di surplus nella bilancia con l’estero. Ma oltre alle merci, c’è lo squilibrio dello spread.
Letta si presenta a Berlino bacchettato duramente dalla Commissione Ue. La legge di stabilità non ha convinto Olli Rehn, il commissario economico. E per la verità non ha convinto nessuno nemmeno in Italia. Una volta tanto la maggior parte degli osservatori non ha rilanciato le solite critiche contro i ciechi eurocrati; al contrario, è stato il governo a prendersela con i ragionieri di Bruxelles. Ma il fatto è che la manovra di bilancio fa acqua da tutte le parti. È modesta, incerta, minimalista. Si può fare di più e meglio. C’è grasso da tagliare nella spesa corrente. Si può quanto meno non aggravare le imposte. Si può, soprattutto, presentare un’agenda per la crescita che prevede di metter mano alle riforme finora schivate a cominciare da quella del mercato del lavoro. Tanto più che ci sono qua e là alcuni segnali di movimento.
Ogni trimestre, dice l’Istat, vengono assunte 500 mila persone a tempo indeterminato e oltre un milione e mezzo con vari contratti a termine. Le esportazioni stanno riprendendo. Le imprese, dopo aver svuotato i magazzini, riaccendono le macchine. Tutto questo, però, non basta a mettere in moto una vera ripresa. L’Ocse ha gelato il governo e prevede l’anno prossimo una crescita dello 0,6%, persino inferiore allo 0,7% dell’Istat. Siamo in pieno errore statistico, con conseguenze gravissime.
La legge delle cifre è implacabile. Il quadro delineato al momento del Fiscal compact era il seguente: l’Italia ha un debito del 120% rispetto al Pil, se il prodotto lordo cresce di tre punti in termini nominali (2% i prezzi, 1% lo sviluppo reale), il debito comincia a scendere da solo. Purtroppo tutti i parametri sono saltati. Il debito è al 133%, e la crescita inferiore a tre. Per far diminuire il debito, allora bisogna recuperare altri punti di Pil con nuovi tagli che fanno scendere il prodotto lordo e salire la quota di indebitamento. Siamo al circolo vizioso.
Ed è con questo bilancio in mano che Letta si presenta davanti alla Merkel. Le buone intenzioni scambiate ieri sera con Hollande restano nella dimensione vaga e cangiante delle parole. La Francia è debole e non può far nulla: ha ottenuto dall’Ue tempo prezioso per sistemare il proprio bilancio e non è certo in grado di alzare la voce, ammesso che lo voglia fare. Gli interessi forti della nazione spingono ancora verso l’altra sponda del Reno anziché verso il versante sud delle Alpi.
Dunque, tutto terribilmente scontato? Eppure in un quadro così desolante, dentro un’Europa in stagnazione (la stessa crescita tedesca è troppo modesta per il suo stesso potenziale industriale), sale l’esigenza di qualcosa di nuovo. I governi non sono in grado di fare nulla, quindi la palla resta nel campo della Bce. Se non ci fossero state le banche centrali con i loro 4.700 miliardi di dollari iniettati nel sistema dal 2007 a oggi (tre volte il prodotto lordo annuo dell’Italia) sarebbe già arrivata la depressione. In alcuni paesi (Grecia, Spagna, ma i sintomi ci sono anche in Italia) si profila lo spettro della deflazione che deprime ancor più gli investimenti e lo sviluppo.
È tempo di dare un’altra spinta. Marc Carey, il canadese alla guida della Banca d’Inghilterra ha annunciato che terrà i tassi a livelli eccezionalmente bassi finché la disoccupazione non sarà al 7%. La Fed ha scelto il 6,5%, ma entrambe hanno come obiettivo la crescita di posti di lavoro. E Janet Yellen non cambierà linea rispetto a Ben Bernanke. La Bce non arriva a tanto, tuttavia Mario Draghi ha ridotto gli interessi allo 0,25% contro il parere della Bundesbank e della banca centrale olandese.
Il prossimo passo adesso è il tasso negativo in termini reali. Non basta e bisognerà passare dal finanziamento delle banche a quello diretto alle imprese e alle famiglie. La Fed ha cominciato e ha dato una spinta al mercato immobiliare. La Bce aveva lanciato l’idea di prestare i soldi alle piccole e medie imprese, lasciata poi cadere anche per l’opposizione della Germania. Ma ci sono alternative alla moneta dall’elicottero? È la teoria enunciata da Milton Friedman e realizzata in parte da Bernanke. L’ha rilanciata in Inghilterra Adair Turner, capo dell’agenzia di controllo sulla finanza. E se ne è fatto interprete un commentatore economico autorevole come Anatole Kaletsky (prima al Financial Times ora a Reuters) il quale ha scritto: se invece di acquistare 85 miliardi di bond, la Fed avesse distribuito 270 dollari al mese a ogni cittadino americano, lo stimolo del Qe (Quantitative easing) sarebbe stato ben più efficace.
Provocazioni a parte, è questa la strada che, in un modo o nell’altro, a seconda dei paesi e delle banche centrali, bisognerà seguire. Bernanke spiega che l’elicottero funziona così: il governo decide un robusto taglio delle tasse e la banca centrale interviene con operazioni sul mercato aperto per finanziare il tutto senza aumentare il debito. La Bce non può sostenere direttamente i governi. Ma se l’Italia lanciasse un bond sostenuto dalle quote delle imprese pubbliche in mano al Tesoro e alla Cdp (il loro valore supera i 50 miliardi) impiegando l’ammontare in parte per abbassare le tasse, in parte per ridurre il debito, e poi si presentasse a Francoforte, la Bce potrebbe chiudergli lo sportello in faccia? In fondo, si tratta di prendere in pegno asset reali, con un valore di mercato preciso.
Non è ancora successo? Siamo in terra incognita. Jörg Asmussen, il rappresentante tedesco nel board della Bce, ed Ewald Nowotny, governatore della banca austriaca, hanno detto che sono pronti a rompere il tabù sull’acquisto di bond sul mercato. Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, è contrario? Draghi potrebbe esercitare il suo carisma sulla Merkel che, nonostate sia pressata da ogni parte, non sembra abbia cambiato idea su di lui.
Terra incognita e infida; attenti alle trappole, ma la cosa peggiore è fermarsi.