Tanto di cappello: loro sì, che hanno capito tutto. I mohicani dell’Alitalia, quell’85 per cento che votò “no” all’accordo sindacale propostogli dall’azienda e dai sindacati confederali scommettendo sul fatto che la temuta chiusura dell’azienda prospettata addirittura dal governo non ci sarebbe mai stata, ebbene: avevano ragione. Del resto, chi meglio dell’Alitalia lo sa, che in questo Paese non si fa mai sul serio. Minacce del premier, anatemi del ministro: niente di vero. Tornato in sella Matteo Renzi, unicamente proteso a riprendersi i voti per governare ancora, l’Alitalia non si tocca più.
Fanno sul serio invece quelli di Ubi Banca, terzo gruppo bancario del Paese, che hanno appena rilevato per un euro dallo Stato le tre “good bank” figlie dei fallimenti di Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti, rimesse in sesto dalla gestione di Roberto Nicastro e offerte sul mercato. Hanno deciso di licenziare quasi 1.600 persone, 700 in più di quelle che Alitalia avrebbe tagliato se l’accordo fosse stato approvato.
Ebbene: Alitalia andrà avanti con una trasfusione di 600 milioni di denaro pubblico, in parte già arrivati, senza tagliare più un solo posto ed in attesa di un improbabile “principe azzurro”. Che poi, se mai arrivasse, non potrebbe che attivare tutti gli ammortizzatori sociali possibili e immaginabili per mandar via comunque la gente senza strepiti. Come del resto promette di fare Ubi, sottolineando che gli esuberi verranno gestiti senza licenziamenti.
Chiaro, no? Questione di sfumature. Esubero sì, licenziamento no. L’esubero lo paghiamo noi contribuenti. Anche il licenziamento, però meno.
Il fondo Atlante, che sta fungendo da nave ospedale nella gestione delle banche fallite, aveva promesso agli istituti cofinanziatori un rendimento del 6 per cento. Come no, però forse al decennio più che all’anno. Sfumature.
E il governo oggi, a proposito dei 600 milioni per Alitalia, parla di “prestito”, cioè di soldi con l’elastico, escono oggi e rientrano domani, magari con gli interessi. Come no: la favoletta di Cenerentola. Altro che prestito, sanno benissimo che mai nessun compratore si presterà a dare dei soldi all’erario per prendere Alitalia, e se proprio vorrà comprare la compagnia, lo farà a 1 euro. Questione di sfumature.
Un po’ come il fantomatico “anchor investor” che secondo l’ex premier Renzi e il tuttora ministro Padoan avrebbe dovuto intervenire nell’autunno scorso a salvare il Montepaschi: come no! S’è visto. E l’amministratore delegato di Mps, Marco Morelli, che dell’anchor investor misterioso lasciava intendere di essere quasi il confidente, è ancora lì, nonostante il fiasco — peraltro, tutta colpa del “no” al referendum, ovvio —, evidentemente senza nessun pegno da pagare a chicchessia… Cosa vuoi che sia, sfumature.
Gramsci diceva che l’Italia soffre dei mali del capitalismo e del suo mancato sviluppo. Ora che nel mondo, salvo Papa Francesco, non c’è più nessuno che parli dei mali del capitalismo, parliamo almeno di quelli del liberismo a metà. Basta con Alitalia, contrordine salviamola, e sorrisi e abbracci con il “fronte del no”. Il liberismo può attendere, il fallimento lasciamolo agli sfigati, non all’azienda-scendiletto della politica.
Risaniamo le banche fallite, che bello, ma poi regaliamo ciò che resta di buono in esse alla ex popolare che più rapidamente si è allineata alla riforma Renzi, che è prevalentemente controllata da stranieri, e lasciamole tagliare un terzo dell’organico, però con il bisturi elettrico, indolore, dei soldi pubblici che ancora pagano tutto, anche se poi siamo noi a pagare, noi contribuenti, e anche se in ultima analisi è il debito pubblico a coprire i buchi: cosa vuoi, è al 133 per cento del Pil, 2.270 miliardi, una tale montagna che qualche ciottolo in più sulla cima nemmeno si nota.
Dal 2009 ad oggi le oltre 100mila aziende che sono fallite in Italia, per debiti o per crisi commerciale o entrambe le cose, ed hanno messo fuori il loro personale, non hanno avuto prestiti statali, e non sempre i neodisoccupati sono stati aiutati strutturalmente a non perdere reddito, finita un po’ di cassa integrazione. Molto iniquità, insomma: ma alla fine uno vale uno, dicono i cinici. Chissà se oserebbero dirlo ai tanti rimasti indietro.
Diceva Eugenio Cefis, genio del male, che pochi debiti sono un problema del debitore, troppi sono un problema del creditore. Sempre vero.