Ha ragione Alessandro Penati su Repubblica a punzecchiare (noi) giornalisti italiani: sull’esposizione in derivati della Repubblica Italiana un sistema di “media” evoluto in una democrazia degna di questo nome non si sarebbe limitato a registrare burocraticamente e frettolosamente la notizia della chiusura di un debito “derivato” dell’Italia presso Morgan Stanley con una perdita di 2,6 miliardi.
Anzitutto perché – come del resto segnala Penati – la storia non è affatto chiusa: l’esposizione in derivati della Repubblica includerebbe, al momento, altri 24 miliardi di euro di perdita presunta (l’1,5% del Pil italiano), mentre altri 9 miliardi di rischio penderebbero sui bilanci delle banche italiane. “Debito sommerso”, scrive il commentatore. “Bilanci falsi” ci permettiamo di aggiungere qui noi: usando né più né meno le espressioni di dura condanna usati dall’Europa nei confronti della Grecia. E il bilancio pubblico di Atene era stato “falsificato”, per la cronaca, da un’operazione derivata contratta nel 2001 con la Goldman Sachs.
L’attuale presidente della Bce, Mario Draghi, allora “executive vice president” della banca d’affari in Europa, dovette faticosamente negare il proprio coinvolgimento. E a proposito, l’operazione Italia-Morgan Stanley è datata 1994: il direttore generale del Tesoro era Draghi. Fino alla primavera il premier era il “super-tecnico” Carlo Azeglio Ciampi, poi lui stesso ministro del Tesoro con Romano Prodi dal ‘96 al ‘98. Nel maggio ‘94 con il Berlusconi-1 arriva al Tesoro Lamberto Dini, poi lui stesso premier. Nel 2001 con il Berlusconi-2 in Via XX settembre approda Giulio Tremonti, con Domenico Siniscalco direttore generale e poi ministro. Con il Prodi-2 all’Economia c’è Tommaso Padoa-Schioppa, mentre alla direzione generale s’è intanto installato Vittorio Grilli, oggi viceministro dell’Economia del premier Monti. Intanto Draghi viene richiamato dalla Goldman in Bankitalia.
Nessuno s’è mai accorto di nulla, soprattutto quando i mercati si sono rovesciati? In ogni caso – in estrema sintesi – l’Italia ha pagato un differenziale d’interessi fuori dagli esercizi di competenza: spalmandoli su trent’anni.
I contribuenti italiani – oltre alle autorità Ue – sono stati tenuti all’oscuro dei rischi reali insiti nel loro debito? Oppure, peggio: qualcuno sapeva (ad esempio, le agenzie di rating o grandi intermediari globali) e ha speculato quest’estate? Inevitabile interrogativo finale: l’austerity che i tecnici stanno somministrando agli italiani con molta enfasi morale, sta in realtà tappando qualche buco lasciato da qualche altro super-tecnico (impreparato, imprudente, troppo amico delle grandi banche)? (Su questa vicenda molti colleghi – non solo di Repubblica – potrebbero aprire un dibattito di più ampia cultura politica e professionale: per il bene della democrazia è meglio battersi a colpi di intercettazioni sui comportamenti privati del premier o a colpi di trasparenza pubblica sui comportamenti pubblici di altri responsabili del Paese?).