Ieri, mentre pareva dissolversi in una ridda di smentite la truppa dei «Responsabili» a supporto di Berlusconi, Napolitano ha detto che «il ricorso alle urne non è un balsamo per ogni febbre», e ha dichiarato apprezzamento per la volontà di Berlusconi di andare avanti con la legislatura. Secondo il direttore del Riformista, Antonio Polito, il Capo dello stato conferma di aver azzeccato tutte le sue recenti «profezie», dalla «morte» del processo breve a quella del ddl intercettazioni. Resta ora da capire quale sarà il vero futuro della legislatura, e per Polito non ci sono dubbi: quanto mai incerto, con un Berlusconi lavorato ai fianchi da Bossi.
Direttore, Napolitano è tornato a stigmatizzare il ricorso alle urne.
Il Capo dello stato aveva profetizzato che la legge sul processo breve avrebbe fatto la fine di quella sulle intercettazioni, finita su un binario morto, e ha avuto ragione. Aveva sommessamente fatto capire che lo scioglimento delle Camere era una linea difficile da perseguire, perché nessuno può fare pressioni indebite per interrompere prematuramente una legislatura e perché è una cosa che istituzionalmente compete soltanto a lui. E in questo ha dato corpo alla «saggezza» degli elettori.
Gli italiani non sarebbero andati in massa a votare?
Calma. Guardiamo la storia recente: il corpo elettorale ha sempre punito i responsabili degli scioglimenti anticipati delle legislature, perché gli elettori vanno a votare pensando di delegare per cinque anni ai propri rappresentanti il potere di governo, senza dover essere chiamati a risolvere col voto ogni singola bega politica. Il centrosinistra è stato punito duramente per aver provocato lo scioglimento della scorsa legislatura e infatti i gruppi politici che lo avevano provocato, cioè l’estrema sinistra, non sono rientrati in Parlamento.
Il presidente della Repubblica dunque ha «aiutato» Berlusconi.
In pratica sì. È Napolitano innanzitutto ad aver scongiurato questo rischio per il centrodestra, e Berlusconi politicamente lo ha seguito. Anche se fino a poco tempo fa i pasdaran di Berlusconi lo rimproveravano di non essere prono alle istanze di scioglimento.
Dai ministri della Lega vengono dichiarazioni a doppio taglio: «se non ci sono i 316 voti necessari si va alle elezioni». Bossi non era il miglior alleato di Berlusconi?
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La Lega negli ultimi tempi si è rafforzata grazie all’indebolimento di Berlusconi. Se si andasse al voto, al nord la Lega prenderebbe più voti e questo a scapito del Pdl. Berlusconi alla fine lo ha capito ed è una delle tante ragioni per cui saggiamente ha accantonato l’ipotesi di voto anticipato. Naturalmente più si assottiglia la maggioranza – passata dai vecchi quattro partiti (Fi, Lega, An, Udc), a tre, per arrivare a due – più la Lega controlla Berlusconi e aumenta il proprio potere: ora Bossi è forse il miglior alleato, ma sicuramente il peggior competitore interno.
Un patto che andrà continuamente rinegoziato?
Di certo ora si gioca tutto sul federalismo. Il governo ha scritto la «cornice» del provvedimento, che adesso va riempito di scelte concrete, importanti e delicate, perché determinare i costi standard diventa politicamente decisivo per intere zone del paese. È il passaggio che cambierà in un senso o nell’altro il destino della riforma. La vera battaglia politica comincia adesso.
Quali sono le sue previsioni?
Vedremo una prova di forza. A Mirabello Fini ha detto che l’intera partita sul federalismo fiscale dipende da come si fanno i decreti attuativi, e ha anche aggiunto: non dirò mai che in quella commissione l’on. Baldassarri è l’ago della bilancia… Ha dichiarato in altre parole che il suo voto è decisivo e che intende farlo valere. E quando la Lega «scarta» verso le elezioni anticipate dimostra che il federalismo è la vera battaglia in cui si gioca tutto. Non solo dal punto di vista politico, ma anche delle alleanze nella società e degli interessi materiali, al sud come al nord.
L’azione di Fini e dei suoi come vuol pesare sulla partita?
Fini ha detto chiaramente che difenderà le ragioni del sud. A Mirabello si è rivolto indirettamente proprio ai meridionali, quando ha fatto riferimento agli agenti di polizia e ai precari della scuola; categorie del pubblico impiego, in conflitto col governo per ragioni economiche e tipiche della società meridionale.
Il patto in divenire tra Berlusconi e Bossi comporterà un aumento del ruolo politico di Tremonti?
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Credo proprio di sì. Tremonti, in modo abile e neanche troppo coperto – se pensiamo che si presenta agli incontri con Berlusconi sempre accompagnato dai ministri leghisti – si accredita come l’uomo forte di questo patto. C’è anche chi dice che la Lega ha in mente un’ipotesi in cui o in questa legislatura, o nella prossima, appoggerà la leadership del «suo» Tremonti, no?
Secondo lei le ultime vicende legate al «Gruppo di responsabilità nazionale» di Nucara sono una conseguenza del timore di Berlusconi di essere troppo vincolato dalla Lega?
No, ieri sono state troppe le smentite e le prese di distanza. Mi pare uno dei tanti ballon d’essai che ogni tanto in politica si lanciano. E poi mi pare difficile che un parlamentare possa cambiare casacca quando il suo voto non è decisivo. A fine settembre il gruppo di Fini voterà la fiducia, i transfughi sarebbero aggiuntivi, superflui e dunque privi di «potere d’acquisto». Non penso infine che Berlusconi si faccia una nuova scorta di voti, col risultato di farsi condizionare. Ma come, liberarsi del ricatto dei finiani per sostituirlo con quello dei siciliani dell’Udc?
Prima che ieri rientrasse l’allarme in casa Udc, a Casini erano sfuggite parole forti: «bene, vorrà dire che mi libero di persone impresentabili…»
È scontato che un pezzo dell’Udc siciliana non potesse gradire la presenza del procuratore antimafia Grasso a Chianciano Terme, su invito di Casini. E se è così, vuol dire non lo sente più come il suo partito, anche perché quella magna pars dell’Udc fa una politica non di opposizione, ma di potere sul territorio. Non dimentichiamo che l’Udc da due legislature è all’opposizione, prima del centrosinistra poi del centrodestra…
Perché dice questo?
Perché conviene ricordare che l’Udc ha retto benissimo in termini di voti. L’ultima volta ha chiesto all’elettorato i voti contro Berlusconi, e li ha avuti. Il che vuol dire che c’è un elettorato di centro che ha votato deliberatamente contro Berlusconi. Non sarà semplice liberarsi dell’«anomalia» Udc.
Le elezioni si sono definitivamente allontanate?
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Per ora sì, anche se non scommetterei nulla sul compimento naturale della legislatura. Come si sono allontanate in poco tempo, si possono riavvicinare altrettanto rapidamente. Il 15 dicembre per esempio, dopo la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, o anche prima, quando dovesse andare in aula un provvedimento qualsiasi sul diritto di voto agli immigrati. Il cammino della restante legislatura è così minato e la maggioranza così azzoppata, che il rischio di conflagrazione rimane altissimo in ogni momento.
Tutti sanno che un legge elettorale come quella attuale non dà stabilità, però al tempo stesso nessuno sembra disposto realmente a modificarla.
La legge elettorale nel sistema italiano è la madre di tutte le leggi, perché determina gli equilibri politici e la scomparsa o il trionfo parlamentare dei partiti. Chi è oggi in Parlamento ricorda bene che il governo Prodi è caduto quando si è cominciato a parlare di legge elettorale. Il centrodestra sa benissimo che il sistema attuale è una «porcata», ma sa anche che è quello che serve meglio gli interessi della sua parte. Non si trova ancora chi baratterà il bene comune con quello dell’interesse di partito. A destra come a sinistra.
Nel Pd si è riaperto il problema Veltroni. La sua linea è candidata a rimanere minoritaria o a creare una spaccatura?
Ci sono temi sui quali Veltroni parla a un’opinione pubblica vasta, anche più vasta del suo partito, però io credo che il cuore della sua polemica, relativa alla questione delle alleanze e all’autosufficienza del Pd, sia superato. L’idea di bipartitismo quasi perfetto che Veltroni ha avuto in testa in questi anni si sta dimostrando nei fatti, in questa legislatura, non corrispondente alla realtà dell’Italia. E comunque anche il bipolarismo appare in grave crisi: si stanno ingigantendo i partiti minori, si sfasciano quelli più grandi… E per ora non si vede dove andiamo.