Bisogna riconoscerlo, Giavazzi ha il merito della chiarezza. In un suo pezzo su Il Corriere della Sera, il celebre economista ripete e argomenta il ritornello per cui “i migranti sono un’opportunità”, un’affermazione che sembra tanto ragionevole e tanto caritatevole, ma di un tipo di carità di cui si parla sempre a sproposito perché non si tiene conto degli aspetti problematici, soprattutto se questi riguardano “gli altri”, cioè la gran parte del popolo.
Circa un anno fa, quando già l’immigrazione era un problema rilevante, ma prima del flusso spaventoso del 2015, Massimo D’Alema dichiarava allegramente che “abbiamo bisogno di almeno 30 milioni di immigrati”. Si poteva immaginare allora che fosse la battuta esagerata di un politico che, finito fuori da ogni carica e direzione, cercasse un pochino di visibilità. Perché, solo a spanne, visto che i disoccupati in Europa sono circa 26 milioni, pensare di importare altre 30 milioni di persone a lavorare vuol dire far esplodere le tensioni sociali in maniera drammatica. E tutto questo porterebbe solo a costringere le persone, che oggi non si rassegnano a uno stipendio da fame, ad accettarlo perché altrimenti quel lavoro lo prende un altro.
Per comprendere il potenziale esplosivo di questa situazione, basti considerare che le cifre sui disoccupati non dicono quanto la realtà sia drammatica; secondo Eurostat, occorre considerare che vi sono quasi altri 9 milioni di disoccupati diventati inattivi e altri 9 milioni che lavorano part time ma lavorerebbero a tempo pieno. Quindi in totale vi sono 44 milioni di persone in difficoltà lavorativa. Non c’è lavoro, ma secondo D’Alema abbiamo bisogno di almeno 30 milioni di immigrati. Non 30 milioni, ma almeno 30 milioni.
Era un’infelice battuta? Nient’affatto. Era ed è un piano ben preciso, tanto che (l’ho già scritto su queste pagine) Gozzi ha ripetuto in diverse occasioni (l’ultima volta il 12 novembre, proprio il giorno prima che degli immigrati portassero a termine le stragi di Parigi; che tempismo!) che l’Europa per il 2050 ha bisogno di 40 milioni di lavoratori. Quindi gli “almeno 30” sono stati aggiornati a 40 milioni di lavoratori. Facendo anche questa volta due conti facili facili, importare 40 milioni di lavoratori in 24 anni vuol dire far arrivare più di 1,5 milioni di lavoratori ogni anno per 24 anni! E non basta, perché se questi lavoratori portano pure famiglia, tutto fa pensare che dovrebbe trattarsi di far arrivare circa (oppure oltre?) 100 milioni di persone.
Nonostante queste cifre da delirio, che storicamente trovano riscontro solo nelle migrazioni forzate di massa di un certo Stalin, la favoletta secondo cui “l’immigrazione è un’opportunità” continua a essere spacciata, ora anche dall’economista Giavazzi. La scusa è sempre la solita: siccome in Europa abbiamo il crollo della natalità, per sostenere il sistema pensionistico occorre che vi siano nuovi lavoratori. Questo intanto mette in luce che la storiella per cui lo Stato previdente mette da parte una fetta del nostro stipendio per poi restituircelo con la pensione è un’altra favola. Tanto è vero che se oggi tutti si licenziassero e smettessero di pagare le tasse, lo Stato immediatamente non avrebbe i soldi per pagare le pensioni ai pensionati di oggi, quelli che dovrebbero avere un tesoretto da parte.
Pure Giavazzi lo riconosce esplicitamente: “Accogliere i rifugiati è quindi una strategia intelligente: aumenta la spesa pubblica nel breve periodo, per l’assistenza necessaria, ma in un modo che si corregge automaticamente entro un decennio. Nel lungo periodo rifugiati integrati contribuiscono alla sostenibilità del sistema pensionistico”. Quindi chi oggi lavora e consegna una parte dello stipendio al sistema pensionistico, non lo fa per avere in futuro una pensione, ma per sostenere il sistema pensionistico. E se in futuro non vi saranno lavoratori, i soldi da lui versati saranno spariti, divorati dal sistema pensionistico. Ma lasciamo stare le pensioni e torniamo al problema dell’immigrazione.
Il piccolo problema non considerato è che questo richieda un’integrazione, cioè un processo di accettazione di una civiltà diversa e di valori diversi che può richiedere anche più di una generazione. E nel frattempo gli immigrati non sono una risorsa, ma un problema da gestire che richiede (oltre al tempo) impegno, pianificazione, risorse umane ed economiche. Proprio la cronica mancanza di tutti questi fattori, accentuata in questi anni ancor di più da quando c’è la crisi, ha portato la crisi della famiglia e la crisi della natalità in Europa. Come si può pensare ora che, mancando questi fattori, senza risorse, si possa realizzare l’integrazione? Se mancano risorse per le case di italiani indigenti, come potremo dare case agli immigrati? Se mancano risorse per le scuole, come potremo istruire pure i figli degli immigrati? Se mancano risorse per curare gli italiani, come potremo curare i milioni di immigrati in arrivo?
Per il successo di questa operazione, Giavazzi pone due condizioni: il rispetto delle regole e l’equilibrio di genere (Giavazzi intende un equilibrato numero di maschi e femmine). Per dare esempio di un caso di successo, Giavazzi cita gli Usa: “I benefici dell’integrazione si ottengono solo con il rispetto delle regole; negli Stati Uniti l’integrazione funziona, pur se con mille difficoltà, perché la violazione delle regole è punita duramente”. Ma dove vive Giavazzi? Vede mai la televisione, con le immagini terribili di cittadini di colore inermi ammazzati dai poliziotti bianchi? E questa la chiama un’integrazione riuscita?
Però per lui il problema è la Francia, dove in alcune scuole si è accettato di togliere la carne dalla mensa per rispetto di una forte presenza musulmana. Invece non c’è problema in Germania, dove ormai da un anno in alcune città tedesche è operativa la “polizia della sharia” che invita i musulmani per strada a non consumare alcolici e a frequentare le moschee. Questo non è un problema, tanto che scrive “Angela Merkel è forse il solo statista europeo ad aver capito che accogliere i rifugiati e investire nel loro capitale umano non ha solo un aspetto di solidarietà: è più lungimirante che costruire autostrade”. Le gravissime aggressioni della notte di Capodanno a Colonia non suggeriscono a Giavazzi alcuna riflessione, né alcun ripensamento sul fatto che l’immigrazione (eccessiva) sia un’opportunità, alcun ripensamento su cosa abbia capito o non abbia capito la Merkel.
Eppure Giavazzi è italiano. E dovrebbe sapere che nell’anno appena concluso si è verificata in Italia una tragedia di proporzioni enormi, epocali da un punto di vista umanitario, sociale e infine economico. Secondo i dati Istat, in Italia vi sono 150 mila persone in meno. Una simile ecatombe non si vede dagli anni della Seconda guerra mondiale. Un frutto combinato di maggiori morti, minori nascite, immigrazione e tanta, tantissima emigrazione. E non si tratta di emigrazione di poveracci, ma di emigrazione di qualità. Le migliori intelligenze e competenze italiane stanno letteralmente fuggendo dall’Italia. Si tratta di una vera e propria catastrofe, che rischia di mettere in forse la sopravvivenza di un popolo. Stiamo assistendo inermi e attoniti alla fuga dei cervelli italiani e alla venuta invasiva della parte peggiore di altri popoli.
La seconda condizione citata da Giavazzi (l’equilibrio di genere) merita una battuta. Giavazzi si lamenta che la gran parte degli immigrati sia composta di maschi. Ignoro per quale oscuro motivo Giavazzi l’abbia chiamata “equilibro di genere” e non “equilibrio di sesso”. Se fosse “equilibrio di genere”, qui mancano un sacco di altri generi (evito di nominarli per non offendere qualcuno, sembra che siano una sessantina…).
Ma Giavazzi ha pronta la soluzione: “Ma l’equilibrio di genere si realizza con l’integrazione e con i ricongiungimenti familiari. È la scarsa capacità di integrare che mantiene lo squilibrio di genere. Anche qui la Germania è un buon esempio: su 7,8 milioni di cittadini nati fuori dai confini tedeschi esattamente la metà è fatta di donne. Solo per alcune nazionalità, in particolare per i cittadini di origine africana, la percentuale di donne è inferiore al 40%”. Giavazzi ha omesso di dire che tanti nati fuori dalla Germania vengono dalla Turchia e quindi non sono immigrati negli ultimi anni, ma negli ultimi decenni. Tanto è vero che invece gli africani sono in prevalenza maschi.
Inoltre, il gran buco nero di questo tipo di affermazioni è che se l’immigrazione è una opportunità, l’emigrazione dovrebbe essere una disgrazia. E che quindi stiamo assistendo alla disgrazia demografica del Medio Oriente e del Nord Africa, senza che nessuno dica una sola parola in merito. Inoltre, in Europa stiamo assistendo a un’emigrazione dei cervelli e simultaneamente a un’immigrazione di disperati, anche qui senza alcun commento particolare.
La verità è che hanno già pianificato un’immigrazione di massa (come hanno pianificato la distruzione politica, sociale ed economica del Medio Oriente e del Nord Africa) anche in previsione dell’implosione monetaria dell’euro, che purtroppo non porterà al recupero della sovranità monetaria degli stati, ma porterà tutti noi a essere costretti ad accettare (pena la perdita di ogni risparmio) della moneta unica mondiale. Questo è il traguardo che mi sembra evidente. E spero tanto di sbagliarmi.