La decisione di Angelino Alfano di annullare la sua partecipazione al vertice con il governo è stata accolta da molti dirigenti del Popolo della Libertà come il segnale di una ritrovata vitalità della politica davanti alle invasioni di campo dei tecnici. Ma a saltare ieri non è stato solo un incontro istituzionale. Anche Silvio Berlusconi, all’ultimo, ha dovuto dare forfait al salotto di Bruno Vespa, sull’onda delle pressioni interne al Pdl che volevano scongiurare il rischio di un “oscuramento” del proprio segretario.
«Si tratta di oscillazioni, scatti d’umore, timori giustificati e comprensibili che ci siano forzature in atto», dice a IlSussidiario.net il direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara. «Il Pdl teme che per far digerire la riforma del lavoro ci possa essere un colpo di mano sulla Rai e l’incontro, protocollarmente strano, tra il ministro della Giustizia, il Pd e il Terzo Polo deve aver contribuito a far scaldare gli animi. C’è poco da stupirsi, comunque, ne vedremo delle belle da qui al 2013. Se però teniamo la testa sopra il pelo dell’acqua ci accorgiamo che non è questo ciò che conta».
Qual è allora il dato politico più importante secondo lei?
Facciamo un esperimento: prendiamo un foglio di carta e scriviamo su una colonna gli argomenti su cui abbiamo litigato negli ultimi vent’anni. Dal conflitto d’interessi, ai processi di Berlusconi, fino alla battaglia tra il Cavaliere e l’Ingegner De Benedetti. Tutto quanto è praticamente risolto, o almeno decisamente ridimensionato.
Su un’altra colonna elenchiamo invece gli obiettivi su cui si registra una larga convergenza: dal mercato del lavoro, alla riforma delle pensioni fino alle liberalizzazioni. La conclusione è che nella politica italiana è comparsa una parola, totalitaria e rischiosa, ma nuova: “tutti”.
Sulla sua ipotesi di un nuovo cartello elettorale all’insegna dello slogan “Tutti per l’Italia” Berlusconi ha però preso le distanze, pur riconoscendone la bontà.
Guardi, il mio problema non è la paternità dell’idea, ma il fatto che Berlusconi sia all’altezza di se stesso. È lui che si è dimesso, è lui che ha detto sì a Napolitano per il governo Monti ed è lui che, dopo un primo momento di incertezza, ha deciso di appoggiare questo governo nell’orizzonte del 2013.
Questo esecutivo, d’altra parte, è pieno di difetti e si basa su una temporanea sospensione della democrazia, tuttavia realizza, dato il fallimento del bipolarismo febbrilmente conflittuale di questi anni, una continuità programmatica tra i migliori riformismi di destra e di sinistra.
Secondo lei questo basta a giustificare la “continuazione” di un’esperienza di questo tipo?
L’alternativa qual è? Cosa può pensare di mantenere, ad esempio, il Pdl? La sua debolezza, la sua forma partito così clamorosamente disfunzionale? Vuole baloccarsi con le tessere e con i congressi?
Chi lo sostiene a mio avviso non ha colto un dato storico: Berlusconi ha detto chiaramente che non parteciperà, per la sesta volta, alla corsa per Palazzo Chigi. E sempre lui, quid o non quid, ha nominato un segretario politico.
A questo punto, a mio avviso, non deve far altro che mostrare la sua disponibilità a costruire un grande cartello moderato.
Secondo lei iniziano a emergere due visioni contrapposte nel Pdl? Da un lato un partito che punta a rinnovarsi attraverso la democrazia interna e che si prepara alla competizione bipolare, dall’altro il suo fondatore che lavora a un governo di unità nazionale?
I partiti hanno una loro logica e un istinto di sopravvivenza che, da realista politico, rispetto. Detto questo mi sembra evidente che il Pdl, molto più del Pd, sia stato costruito a immagine e somiglianza del suo leader e fondatore. Questo partito deve prendere atto dell’esigenza di superare se stesso. D’altra parte, già il Popolo della Libertà fu il superamento, in groppa a un predellino, di Forza Italia e An, due partiti in inventati dal berlusconismo.
Ci sono delle componenti che però si stanno già attrezzando per allargare il partito e costruire la sezione italiana del Ppe.
È un tentativo che va nella stessa direzione, ma che secondo me ha una prospettiva molto ristretta. Può addirittura sembrare un’evoluzione naturale del Pdl.
Serve invece qualcosa di più ambizioso, al di là del nome che verrà scelto. L’importante è che imponga alla sinistra, questo è il punto, di fare la stessa cosa.
È davvero immaginabile che a un cartello di moderati che non preveda Berlusconi come presidente del Consiglio possa contrapporsi un’alleanza rancorosa tra Bersani, Vendola e Di Pietro? Direi proprio di no.
Fuori da questo schema ci sarebbe anche la Lega?
Purtroppo si è messa fuori da sola a causa di un’illusione elettoralistica che non condivido. Mi dispiace perché il Carroccio in passato ha saputo unire l’intuito strategico e profetico di Bossi, oggi in grande difficoltà, alla grande esperienza di governo di Roberto Maroni.
E secondo lei quali saranno gli ostacoli e gli oppositori più agguerriti a questo progetto politico?
Vedo uno Scalfari molto in difficoltà. Lui vorrebbe rendere eterno lo schema Monti, inteso però come il governo degli “ottimati”. Nella sua visione è il Presidente della Repubblica che deve comporre i governi, i ministri non dovrebbero rispondere ai partiti, a cui spetterebbe soltanto il voto in Parlamento. Un’idea piuttosto ottocentesca.
Altri come Ezio Mauro, invece, vorrebbero da Monti una discontinuità anti-berlusconiana che non stanno ottenendo. Sognano una grande ordalia finale in cui si cancelli tutto ciò che è stato il berlusconismo, anche se ormai si è capito che non era caimanesco e non ha messo a ferro e fuoco il paese come ci avevano raccontato.
Anche lei comunque la intende come una transizione? Dopodiché si tornerebbe al bipolarismo?
Certo, anch’io preferirei due schieramenti lucidi e capaci di competere, ma il fatto è che con gli attuali partiti questo non è possibile.
Ad ogni modo, ciò che conta è che si facciano le elezioni nel segno di ciò che è avvenuto. Se invece si tornasse a votare per tornare a darsele, in nome degli equivoci di sempre, per questo Paese sarebbe un suicidio.
(Carlo Melato)