“Rispetto a stimo Cottarelli: farà quello che crede. Ma non è Cottarelli il punto fondamentale: la spending review la facciamo anche se va via, dicendo con chiarezza che i numeri sono quelli”. Sono le parole del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dopo le voci circolate secondo cui Carlo Cottarelli starebbe per lasciare il suo ruolo di commissario per la revisione della spesa pubblica. Voci non confermate dal diretto interessato, ma alimentate dallo stesso Renzi il quale ha sottolineato: “La revisione della spesa c’è, chiunque ci sia come commissario, questo o un altro. Il punto è che revisione faremo”. Ne abbiamo parlato con Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.
Da molte parti si parla di un presunto scontro tra Renzi e Cottarelli. Secondo lei, da dove nasce questa contrapposizione?
Cottarelli ha alle spalle una brillante carriera nel Fmi, ma se ne è andato dall’Italia nel 1986 e da allora non se ne è più occupato. È stato quindi chiamato a un compito che non era suo, per dilazionare tagli della spesa pubblica e creare una copertura alle lobby. Il problema è che i tagli suggeriti da Francesco Giavazzi con la sua spending review relative alle sovvenzioni alle imprese davano fastidio, oltre che al Pd, anche ad alcuni personaggi di Confindustria. Dal momento che è un personaggio prestigioso ma non competente in questo campo, Cottarelli era l’uomo giusto per non fare niente.
Come valuta il lavoro compiuto finora da Cottarelli?
Le operazioni compiute finora da Cottarelli non sono un granché. In due anni è riuscito a trovare solo 7 miliardi di tagli andando a rovistare tra le solite cose, anziché nei centomila enti pubblici. Ciò documenta che o non è un grande esperto in materia o non ha voglia di affrontare i problemi.
Perché la questione è emersa solo ora?
Secondo Il Corriere della Sera, Cottarelli sarebbe l’uomo perfetto per il suo incarico ma Renzi non lo vuole. In realtà non è così. Già l’anno scorso ci si poteva rendere conto della situazione e chiedersi che cosa stesse facendo Cottarelli. Fino a un mese fa però nessuno si era chiesto dove fosse finita la spending review. L’unica eccezione era rappresentata da alcuni economisti, tra cui Giavazzi, che ha scritto un articolo per chiedere di dare seguito al suo piano di tagli alla spesa pubblica, il che mi sembra francamente tardivo.
Ma la decisione politica sulla spending review spetta a Cottarelli o a Renzi?
Affermare che la colpa sarebbe di Renzi e non di Cottarelli è un po’ riduttivo. Cottarelli è stato nominato da Letta nel novembre 2013, e in questo tempo ha prodotto 17 dossier, mentre tutto ciò che doveva fare era un elenco di spese da tagliare nei vari campi. È un paradosso perché ci si propone di combattere la burocrazia con un aumento della burocrazia.
Renzi ha detto: “Andremo avanti anche senza Cottarelli”. È davvero possibile?
Renzi può benissimo tagliare le spese senza Cottarelli Basterebbe riprendere in mano i rapporti della Corte dei Conti, e proseguire su quella linea. Nella guerra per abolire le strutture burocratiche del Senato, Renzi si dimentica che nelle commissioni Finanza, Bilancio e Tesoro ci sono dei tecnici super-esperti che potrebbero realizzare la spending review ottimamente. Cottarelli al contrario sembra ignorare concetti fondamentali per chiunque voglia realizzare il compito che gli è stato affidato.
Per Renzi raggiungeremo un deficit/Pil al 2,3%. Come valuta la sua dichiarazione?
Se il rapporto deficit/Pil attualmente è pari al 3,3%, riportare il rapporto al 2,3% equivale a una manovra di 16,5 miliardi di euro. Leggendo gli studi di Baldassarre, si vede che gli studi di bilancio a legislazione invariata che proiettano il deficit/Pil al 3,3% sono un bluff ministeriale, sulla cui base si fa poi l’operazione per scendere al 2,3% fingendo di avere fatto dei tagli. È il concetto di legislazione invariata che va rivisto. L’ipotesi include il fatto di avere il bilancio al 3,3%, mai poi è da vedere se siano già state calcolate tutte le possibili spese. Prima si compie la previsione, poi si va a vedere che sia virtuosa con una manovra da un punto di Pil. Tutto dipende quindi dal fatto che la base da cui si parte sia virtuosa.
(Pietro Vernizzi)