Ai venticinque addetti ai lavori, nel fine settimana non è sfuggita – su Il Sole 24 Ore – un lunga analisi di Luigi Zingales sull’ultimo “decreto banche” del governo italiano. L’occhio dell’economista di Chicago si è concentrato per lo più sull’aspetto meno pop del provvedimento: le misure volte a sveltire le procedure di recupero dei crediti incagliati delle banche, attraverso un rafforzamento dei meccanismi di garanzia sui beni aziendali. Se Zingales si è tenuto dunque a distanza dal pacchetto-rimborsi e dal “risparmio tradito”, la sua disamina economica della normativa è parsa costruttiva: non priva di sottolineature problematiche, ma senza la verve polemica che da anni contraddistingue il suo profilo di editorialista o di consigliere d’amministrazione di grandi gruppi (in Telecom e ultimamente Eni).
Zingales recentemente non era più così “renziano” così come lo era stato nella prima ora: ospite fisso delle “Leopolde” ante-marcia, quando Renzi era ancora sindaco di Firenze. “Rottamatore” – sul piano intellettuale – lo è del resto sempre stato anche il bocconiano espatriato negli States: mai tenero neppure con istituzioni finanziarie mostro-sacro come Mediobanca; o tradizionalmente duro con Popolari e Fondazioni, spina dorsale del capitalismo bancocentrico all’italiana, l’esatto contrario di quello globale di mercato propugnato da Zingales come migliore delle democrazie economiche possibili. Zingales – pasdaran della crociata liberista contro il governatore Antonio Fazio nel 2005 – non ha poi risparmiato critiche neppure alla Banca d’Italia delle gestioni successive: sempre più in difficoltà nell’esercitare la vigilanza mano a mano che la crisi globale premeva sul sistema nazionale.
Certo gli attacchi più diretti sono stati ripetutamente indirizzati verso la Consob: l’authority in questi giorni al centro di un pesante confronto fra il presidente Giuseppe Vegas e il governo che sembra intenzionato a rimuoverlo. Il nodo del contendere è il ruolo della Commissione nel verificare la correttezza dell’offerta allo sportello di titoli delle banche dissestate. Le polemiche sono roventi (ieri il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha tentato una difesa dell’indipendenza istituzionale della Consob). Ma il destino di Vegas appare segnato: soprattutto per la crescente instabilità del quadro politico che obbliga Renzi a occupare in fretta una casella-chiave fra politica e affari, in particolare allorché la tutela del risparmio è tornata a essere tema largamente elettorale.
E allora – si è cominciato a sussurrare con più frequenza in questi giorni fra Milano e Roma – chi meglio di Zingales per la prima poltrona della Commissione? Mercatista draghiano, affermato opinionista riformista, non privo di conoscenze importanti del funzionamento della govenance dei grandi gruppi nazionali. Se sono rose – ma soprattutto se saranno spine ai ballottaggi comunali di domenica – Renzi le farà fiorire in fretta.