Le dichiarazioni del presidente del Consiglio all’ultima assemblea di Confindustria hanno riacceso il dibattito sulle riforme istituzionali. Berlusconi ha detto: troppi parlamentari. Non è una novità nel dibattito politico, perché da anni se ne parla, sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Ma non si può dire Parlamento senza riaprire il problema della governabilità: dal meccanismo lungo e complicato di approvazione delle leggi al bicameralismo, dal sistema elettorale al potere di nomina e revoca dei ministri e a quello di scioglimento. Che cosa c’è in gioco e cosa vuole veramente il capo del governo? L’opinione di Franco Bassanini, costituzionalista e presidente della Cassa depositi e prestiti. «La bozza Violante – conferma Bassanini – rimane oggi la base di discussione più equilibrata».
Professore, il premier ha annunciato di voler ridurre il numero dei parlamentari con una legge di iniziativa popolare.
Giudico curioso che il presidente del Consiglio, che è anche capo del partito di maggioranza, scelga la strada dell’iniziativa popolare quando può presentare un disegno di legge. Mi rendo conto che la volontà è quella di registrare un forte sostegno popolare alla proposta. C’è da chiedersi comunque quale sia la sua finalità vera, perché sulla riduzione del numero dei parlamentari c’è da tempo un’intesa assai ampia.
Già era prevista dalla riforma Calderoli…
Sì, ma bisogna distinguere. Quando Gasparri dice “noi lo avevamo previsto, poi la sinistra col referendum (del 2006, ndr.) ha bocciato questa riduzione”, dice una mezza verità e una mezza bugia, perché è vero che il referendum ha bocciato quel disegno di riforma costituzionale. Ma non per il numero dei parlamentari, perché quella riduzione era solo una disposizione nell’ambito di un ddl che riformava praticamente metà degli articoli della Costituzione!
Il proposito, lei dice, di ridurre i componenti del Parlamento è stato trascinato nella bocciatura dell’intero progetto di riforma.
La riforma del centrodestra conteneva centinaia di modifiche costituzionali, alcune condivisibili, altre discutibili e altre infine del tutto inaccettabili. L’insieme ha portato al referendum e al risultato netto che abbiamo visto, perché ha votato contro quasi il 63 per cento degli italiani. Ma oggi, praticamente tutte le forze politiche si dichiarano favorevoli a ridurre il numero dei parlamentari.
Se tutti sono d’accordo allora perché non si fa?
Le spiegazioni possono essere due. La prima è quella proverbiale dei “capponi che non possono voler anticipare il Natale”: i parlamentari non possono aver fretta di votare una riforma che mette in discussione la rielezione di una parte di loro. Ma io esplorerei per prima l’altra motivazione. C’è la tendenza ad “annegare” proposte di riforma, anche apparentemente molto condivise e nel merito incontestabili, dentro progetti di riforma globale nei quali si mettono anche punti molto controversi.
Lei che cosa farebbe?
Una cosa molto semplice e finora intentata. Proporrei ai parlamentari un disegno di legge di un solo articolo che dicesse seccamente: i deputati sono ridotti – mettiamo per ipotesi – a 300 e i senatori a 150.
Torniamo per un attimo al proposito di congegnare progetti di riforma complessi ma che risultano fallimentari.
Le faccio un esempio. Il famoso titolo V nella parte dedicata al federalismo. Il punto realmente discusso è stato l’articolo 117 sulle competenze delle Regioni, perché sul resto grandi dissensi non ci sono stati. Ma anche a proposito delle competenze delle Regioni c’è stato un accordo pressoché generale sul fatto che ci sono alcune materie, attribuite alla competenza concorrente tra Stato e Regioni e su cui interviene sia il Parlamento, con legislazione di principi, sia le Regioni, che invece dovrebbero essere riportate alla competenza esclusiva dello Stato. Per esempio la produzione, la distribuzione e il trasporto nazionale dell’energia, o le grandi infrastrutture strategiche del paese. Quando si è votato in Parlamento su questi punti il 90 per cento era a favore. Ma non si è mai presentato un disegno di legge che risolvesse il problema una volta per tutte.
Dove sta il punto?
La nostra Costituzione, come quella americana, pensa alle riforme costituzionali sotto la forma di emendamenti, di modifiche puntuali, ritocchi, aggiustamenti e correzioni, mentre da alcuni anni a questa parte, con distorsioni ampiamente bipartisan, ci siamo ammalati dell’idea che bisognasse fare necessariamente una riforma globale. Ora, che siano molteplici le disposizioni della Costituzione che hanno bisogno di aggiornamenti e ammodernamenti, è vero. Ma sarebbe più semplice e coerente con l’impianto originario dell’articolo 138 un disegno di legge costituzionale che dicesse: “nell’articolo 117 le materie ricordate sono trasferite dal terzo al secondo comma e diventano competenza esclusiva del legislatore nazionale”. Una riforma che si potrebbe fare nel giro di qualche mese.
Le riforme istituzionali sono uno dei temi perennemente aperti della nostra politica. Il vero tema centrale pare la supremazia sul Parlamento del capo del Governo. Lei che ne pensa?
È una questione complessa. La prima domanda da farsi è: è vero o no che il nostro premier ha meno poteri dei suoi pari grado europei? Non credo, e altri autorevoli costituzionalisti sono della stessa opinione. Io sono sempre dell’avviso che dare al premier il potere di nominare e revocare direttamente i ministri potrebbe essere opportuno e non dovrebbe presentare particolari problemi. Ma sull’altra questione che ha citato, cioè il rapporto tra governo e parlamento, non concordo.
Perché?
In quale ordinamento democratico europeo il presidente del Consiglio può senza limiti mettere la fiducia su maxiemendamenti che fanno passare in blocco una legge o un decreto nel testo scelto dal governo? L’unico paese in cui questo era possibile, prima della riforma dell’anno, scorso era la Francia: l’articolo 49 della costituzione francese prevedeva che se il governo poneva la fiducia su un testo invocando quell’articolo, l’unica possibilità dell’opposizione di contrastarlo era di presentare un voto di sfiducia e di ottenere il voto della maggioranza sulla mozione di sfiducia. Però questa prerogativa è stata fortemente limitata, per cui il governo lo può fare solo sulla legge finanziaria e su un’altra legge a sua scelta nell’arco dell’anno. Mentre da noi non c’è limite. In Italia il governo ha più poteri e in Parlamento può far passare quello che vuole.
Sarkozy però nomina e revoca i ministri.
Ma nei confronti del parlamento Sarkozy è più debole di Berlusconi. Anche per un’altra ragione: se un parlamentare della maggioranza in Francia non è d’accordo su una cosa, per esempio la liberalizzazione dei taxi, il governo non gli può dire: o fai così o non ti ricandidiamo. Perché il parlamentare francese è un signore che viene eletto in un collegio uninominale con un sistema maggioritario a doppio turno e quasi sempre è il sindaco della città principale del collegio, oppure il presidente del consiglio di dipartimento.
E se il partito non intende ricandidarlo?
Lui può benissimo rispondere: io sono qua perché sono il sindaco di Aix en Provence, i miei cittadini mi apprezzano e vogliono che il loro sindaco li rappresenti in parlamento per tutelare gli interessi della città. Quindi se voi non mi ricandidate mi ricandideranno loro in una lista civica e voi rischiate di perdere il deputato.
È evidente che si arriva in un modo o nell’altro al problema del sistema elettorale. Altra spina nel fianco del nostro ordinamento…
La differenza può piacere o non piacere, ma nel nostro Parlamento di nominati, dove con la legge che va sotto il nome di “porcellum” sono i capi dei partiti che scelgono gli eletti, e l’elettore sceglie solo fra le liste, il potere del partito e del capo del governo è senza limiti perché i deputati possono sempre essere minacciati di non essere ricandidati e di non essere rieletti.
La sua opinione sulle riforme, mi pare di aver capito, è apertamente possibilista.
Sì. Ci sono ritocchi che si possono fare e che possono rafforzare il presidente del Consiglio, però nel contempo la nostra Costituzione deve rafforzare i poteri del Parlamento e le garanzie costituzionali. Perché alcune di queste furono pensate in un contesto diverso e per un sistema elettorale proporzionale. In un contesto che è molto cambiato, e in cui il sistema elettorale è poco o tanto maggioritario, quelle garanzie non funzionano più. La garanzia dei diritti e delle libertà è tale se non può essere abolita a colpi di maggioranza, e in un sistema maggioritario essi richiedono quorum e maggioranze più alte.
Come procediamo dunque?
Ci sono riforme chiare e semplici sulle quali è possibile registrare un forte consenso e una forte convergenza tra le forze politiche? Bene, facciamole. E per evitare complicazioni facciamole con provvedimenti ad hoc, in modo tale che non si possa dire: su questi tre punti sono d’accordo, ma sugli altri due sono assolutamente in disaccordo. Nella bozza Violante si dà al premier il potere di nominare e revocare ministri, ma nel contempo si hanno norme che rafforzano i poteri del Parlamento; e si riforma il Parlamento in modo da rompere il bicameralismo perfetto e avere un senato federale. Ecco perché rimane la base di discussione più ragionevole.