Del fenomeno Grillo mi colpisce la velocità. Più in generale, la facilità con cui si aggregano nuovi movimenti politici e altri scompaiono. Qualunque sia il giudizio sul movimento 5 stelle, non si può liquidare il fatto che ha mobilitato in così poco tempo tante persone. Della sua folla di ieri impressionava soprattutto il silenzio, prima dell’arrivo del leader. Non credo sia una rivoluzione, né una vera novità. Ma vuol dire certamente qualcosa. C’è un disagio, c’è un desiderio, anche se ambiguo. Parallelamente c’è la rapidità con la quale alcuni leader nascono e subito tramontano. Con folate improvvise, il vento della notorietà fa salire il gradimento e il giorno dopo lo abbatte.
Ora, che i media (tv, radio, web) creino i politici e che con altrettanta naturalezza li possano distruggere non è cosa nuova. Ma nella gente, come spiegare questi cambiamenti repentini d’umore verso quella o questa idea e verso chi la rappresenta? Cosa significano le migliaia di persone che improvvisamente si mobilitano dietro a Grillo? E come è possibile che tanti, a poche ore dal voto, siano ancora indecisi e, si dice, tra opzioni opposte tra loro?
Una prima osservazione è che sia tramontata la vecchia politica. E’ vero che un tempo il politico aveva un contatto diretto con il suo popolo e questo lo metteva al riparo dalle bufere ostili e limitava gli sbandamenti di opinione. Andreotti ha resistito a decenni di attacchi non perché sapesse difendersi meglio dei suoi epigoni, ma perché il suo partito, la DC, era radicato nel popolo. Senza legami con la gente, costruiti nel tempo, tutto dipende dai media, vecchi o nuovi. Ma è anche vero che fenomeni come il grillismo non sono inediti. Nella storia, pensiamo al primo ventennio del novecento, abbiamo conosciuto molte fiammate improvvise di movimenti politici, alcune finite malissimo.
Riprendo allora una idea che alcuni amici hanno suggerito in questi giorni, sperando di bene interpretarla. Credo che questi fenomeni siano segno di qualcosa di più profondo. Siamo volatili e confusi di fronte alla propaganda elettorale perchè non sappiamo quale sia davvero il nostro bisogno. A chi non sa cosa vuole puoi raccontare oggi una cosa domani il suo contrario.
E’ un consumismo politico, che però nasconde qualcosa di marcio. Indica una povertà dell’offerta, cioè dei contenuti della politica, perché una proposta forte non è una canna al vento. Ma indica anche la povertà della domanda. L’emergere improvviso delle piazze stracolme di Grillo, il risorgimento stupefacente di Berlusconi, la meteora Giannino sono anche il segno che nel popolo c’è una drammatica inconsistenza umana. Più le particelle sono senza peso, più si aggregano ad ogni soffio di vento. Sciolti da ogni legame sociale e familiare, rimbecilliti da pazzi educatori e imbonitori, prostrati dall’angoscia dei soldi siamo facili prede. Docili docili e incapaci di orientarsi come Jack Nicholson dopo l’elettroshock ne “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. “Emergenza uomo”, hanno giustamente titolato il prossimo Meeting di Rimini. Qual è il nostro bisogno più vero? Senza questa domanda tutto e il contrario di tutto diventa possibile. Don Giussani, di cui ricorreva ieri l’anniversario della morte, ha scritto che il compito diretto della Chiesa non è offrire soluzioni ai problemi dell’uomo, ma richiamarlo alla dimensione autentica del suo senso religioso, delle sue domande di verità, bellezza, bontà, giustizia. Sono quelle il punto fermo che manca al nostro popolo, malato di labirintite.
(Comunque, nel film di cui sopra, alla fine, il gigante indiano sfonda la parete del manicomio e corre via libero).