Il redditometro viola i diritti previsti dalla Costituzione e quindi deve essere disapplicato. Lo ha stabilito la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con una sentenza depositata giovedì dalla seconda sezione. Un contribuente si è opposto a due avvisi di accertamento emessi per gli anni 2007 e 2008, e si è visto dare ragione. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Gianluigi Bizioli, Professore Associato di diritto tributario presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bergamo.
Qual è la novità introdotta da questa sentenza nel dibattito sul redditometro?
Questa sentenza non introduce alcuna novità, perché riproduce quanto già stabilito dal Tribunale di Napoli di qualche mese fa. I magistrati partenopei avevano dichiarato che il decreto sul redditometro è in contrasto con il diritto alla privacy, e quindi con i diritti fondamentali degli articoli 13 e 14 della Costituzione. Il contribuente era obbligato non solo alla tenuta di tutta la documentazione relativamente a ciascuna delle spese che affrontava, ma soprattutto il fisco aveva un potere di controllo di tutte le spese effettuate dal cittadino.
E quindi?
Ciò appariva in contrasto con il diritto alla privacy che emergeva dalla carta costituzionale. La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ha riproposto questi argomenti, sostenendo che il redditometro non è applicabile perché c’è una violazione della privacy, e dunque di un diritto della persona fisica. Ha inoltre aggiunto che c’è un diritto di difesa da parte del contribuente nei confronti di controlli troppo invasivi. L’elemento innovativo, rispetto all’intera giurisprudenza tributaria precedente, è il conflitto tra il potere di accertamento del Fisco e il diritto del contribuente alla propria privacy nella scelta delle spese da effettuare.
In che senso il redditometro violerebbe la privacy?
Il redditometro prende in considerazione molte spese del contribuente, le quali spesso riguardano la sua sfera squisitamente privata. Si va dai medicinali agli importi per le prestazioni sanitarie alle vacanze, coinvolgendo molti settori privati della vita del cittadino. Si dice quindi che il redditometro è invasivo perché gli occhi del Fisco arriverebbero in ogni dove della vita della persona ledendo la sua privacy.
Queste sentenze valgono solo per i singoli casi o per tutti i contribuenti?
La sentenza di Reggio Emilia vale esclusivamente per la controversia tra le parti, e per il contribuente che ha fatto ricorso il redditometro quindi non si applica. L’unico organo che ha il potere di annullare il decreto sul redditometro è il giudice amministrativo, ovverosia il Tar in primo grado e il Consiglio di Stato in secondo. Se un domani la questione dovesse essere portata davanti agli organi della giustizia amministrativa, e se quest’ultima dovesse riconoscere fondate queste richieste di annullamento del redditometro, ciò varrà erga omnes, cioè sarà definitivo e non potrà più essere applicato dagli organi amministrativi.
Fino a quel momento il redditometro resta in vigore?
Per il momento il redditometro resta compiutamente applicabile, perché solo il giudice amministrativo può annullare un atto amministrativo. Nel sistema giudiziario italiano gli altri giudici possono solo disapplicare il redditometro nel caso concreto. Fin quando la questione non verrà portata di fronte al Tar, le sentenze si applicheranno solo alle concrete situazioni. Nel momento in cui il caso sarà portato davanti al giudice amministrativo, gli effetti saranno diversi. Se però si ingenera un filone giurisprudenziale che dice che il redditometro è in contrasto con gli articoli 13 e 14 della Costituzione, è possibile che si produca lo stesso effetto anche di fronte ad altri organi giudiziari. Ora i contribuenti dovranno portare la questione davanti al giudice amministrativo e chiedere l’annullamento.
(Pietro Vernizzi)