Consiglio a chiunque abbia a cuore le sorti proprie e del Paese di indossare il casco e allacciare le cinture. Sono giorni in cui rischiamo tutti di andare a sbattere.
Il presidente del Consiglio, finalmente, ha deciso di dedicare una seduta straordinaria del Consiglio dei ministri all’emergenza economica. Finalmente la maggioranza, che solo pochi mesi fa attaccava Giorgio Napolitano (il miglior presidente negli ultimi trent’anni, per senso dello Stato, equilibrio e capacità di interpretare i sentimenti del Paese, vedi il caso dei bambini rom morti nel rogo di Roma, secondo a Pertini solo in quest’ultima dote), capisce che invece si deve raccordare con il Quirinale per tentare di tenere ancora la barra puntata verso le riforme.
E non so dirvi con certezza se sia tardi – come viene da pensare – o meno, esserci arrivati solo ora, in questa situazione di scontro senza precedenti. Alla vigilia di un rito abbreviato che si preannuncia per il capo del governo per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, reati che solo a pronunciarli fanno rabbrividire, e che sono al momento l’unica notizia che il nostro Paese riesce a esportare sui maggiori giornali stranieri.
Gli “uomini che non si voltano” (per dirla con Montale in “Ossi di Seppia”) avranno le loro certezze anche in una situazione del genere, noi invece confessiamo di non averne – politicamente parlando – non intravedendo quale potrà essere lo sbocco costruttivo in un simile scenario, pur sperando che ve ne sia uno, messi come siamo a metà strada fra un’Europa che faticosamente sta uscendo dalla crisi e un’Africa del Nord che sembra diventata invece una polveriera.
Confesso insomma: non so come andrà a finire. Lo scioglimento delle Camere resta infatti un’ipotesi lontana, almeno finché la Lega non cambierà idea, e potrà accadere, in ipotesi, solo una volta scaduta a maggio la delega sul federalismo, con l’approvazione di tutti i relativi decreti.
Che i parlamentari non abbiano voglia di andare a votare non mi pare una gran novità, il fatto nuovo semmai è che anche Silvio Berlusconi non parli più di elezioni anticipate. La motivazione che dà è seria, ossia i rischi che corre la nostra economia, ma tutti possono notare come tali rischi, pari pari, c’erano anche due, tre, quattro mesi fa… Dunque qualcosa di nuovo è accaduto, al di là dell’asserita tenuta nei sondaggi della coalizione di governo.
Fossi però nelle opposizioni, non trarrei conclusioni trionfalistiche dai sondaggi che un serio professionista del settore come Nando Pagnoncelli ha divulgato nell’ultima puntata di Ballarò.
Berlusconi dovrebbe dimettersi? La risposta è sì per il 61 per cento degli intervistati, no per il 33. Dunque “solo” un terzo degli italiani sarebbe favorevole a che Berlusconi resti in sella. E vi pare poco? Attenzione: i sondaggi vanno saputi interpretare.
A parte il fatto che una quota di quelli che vorrebbero oggi le dimissioni del Cavaliere verrebbe, in proiezione elettorale, certamente recuperata al centrodestra dalla Lega, saldamente legata – ad oggi – al Pdl. Ma non si può ignorare che c’è una porzione enorme e persino crescente di italiani (intorno al 40 per cento) che non vota più. E in questa chiave un blocco sociale Pdl-Lega resta un’armata difficilmente battibile, se i restanti due terzi dell’elettorato per metà vanno a ingrossare la fascia dei delusi (che non votano più) e per un’altra metà vanno ad alimentare quattro opposizioni difficilmente aggregabili: Pd, Terzo Polo, giustizialisti di Di Pietro e sinistra radicale. Può darsi anche che al Senato tale frammentazione, con l’attuale sistema elettorale, non consegni a nessuno la maggioranza assoluta , ma alla Camera (dove chi arriva primo prende il 55 per cento dei seggi in ogni caso) Pdl-Lega sono ancora in vantaggio.
Sono giorni convulsi, che speriamo non portino al tracollo il nostro Paese, si diceva. È probabile tuttavia, che – nonostante lo scontro sempre più furibondo con la Procura milanese – il governo vada avanti, almeno fino al federalismo.
Vedremo intanto che effetto darà questa frustata all’economia che si sarebbe dovuta dare almeno sei mesi fa, quando c’era la possibilità di effettuarla in maniera bipartisan con tutt’altra prospettiva, avendola proposta per primi Pd e Udc. Non si capisce, fra l’altro, come si potrà andare a modifiche costituzionali in assenza della necessaria maggioranza dei due terzi, che l’Art. 138 prevede. Ma se persino il Foglio oggi parla di “rischio flop” per questo (tardivo, e un po’ diversivo) pacchetto di misure economiche, dubitare della loro efficacia è lecito.
Le opposizioni, sia chiaro, non hanno niente di che rallegrarsi. Non solo perché il tracollo dell’Italia sarebbe un guaio per tutti. Ma anche perché le prospettive del dopo non si intravedono, per loro. Con il solco che si è creato – apparentemente irrecuperabile – fra il Pdl e gli ex alleati Udc-Fli, o questi trovano l’intesa con il Pd su un candidato “tecnico” credibile (un SuperMario, che si chiami Monti o Draghi) o su un politico (Casini o Enrico Letta) avendo la forza di tener fuori Vendola e Di Pietro, o il loro destino appare segnato, anche per i prossimi anni. “Io ho la pelle dura”, ha avvertito il Cavaliere. Per chi non se ne fosse accorto.