Stavolta Mario Draghi ha proprio perso la pazienza: “Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali”. Un giudizio che riguarda tutta l’Eurozona ma che è riferito innanzitutto i Paesi inadempienti e sordi ai reiterati, ormai stucchevoli, richiami alla necessità di fare le riforme. Mario Draghi non si tira indietro nel sottolineare le colpe del suo Paese: l’Italia può rimediare ai dati deludenti del Pil “solo con le riforme, perché la mancanza di riforme è un grande fattore di scoraggiamento degli investimenti”. Non c’è nulla, è il messaggio di Draghi, che la politica monetaria possa fare se non si fanno passi avanti su “mercato del lavoro, giustizia civile concorrenza”. E, soprattutto, se non ci si pone l’obiettivo di tagliare il carico fiscale, operazione che richiede metodo e coraggio politico, quello che si chiede a Matteo Renzi per scongiurare il rischio di una tutela (vedi intervento della trojka) che alcuni vedrebbero con favore a Roma pur di levare potere al premier fiorentino, in grave imbarazzo dopo la frenata dell’economia.
L’affondo di Draghi si inserisce in una cornice geopolitica difficile, che potrebbe presto diventare drammatica nel caso che precipitasse la crisi con Mosca sull’Ucraina. La Bce è pronta a far uso dell’intero arsenale per scongiurare gli effetti di una caduta brusca dell’import/export con la Russia e la conseguente caduta di fiducia nelle principali economie dell’eurozona. Oltre ai tassi bassi, il consiglio direttivo è pronto dispiegare l’intervento sia rivitalizzando il mercato degli Abs (mutui sulle auto e ipotecari) o aprendo la porta al quantitative easing, cioè acquisti su larga scala per dare ossigeno all’economia.
Tra poco più di un mese, intanto, decolleranno i prestiti Tltro per le banche purché i quattrini vengano girati alle imprese. Tutte queste operazioni, nel tempo, potrebbero favorire la ripresa dell’inflazione. Intanto il salvataggio di Banco Espirito Santo dimostra che l’Europa si è data strumenti efficaci per fronteggiare emergenze bancarie.
Ma questi provvedimenti, e tutto quanto può produrre l’arte del banchiere, rischiano di essere inutili in un quadro politico incapace di offrire al Paese gli strumenti per crescere. Se non siete in grado di far marciare le riforme, ci pensiamo noi, sillaba il banchiere. Stavolta, insomma, Draghi ha smesso i panni dell’avvocato d’ufficio dei Paesi più stressati dall’austerità, da supportare con misure espansive, per indossare quelli dell’accusatore.
In questi anni il banchiere ha retto, in pratica da solo, la pressione dei falchi contrari a ogni operazione di aiuto diretto o indiretto verso la periferia. Oggi, però, dice basta. Come titola Le Monde, “L’Italia affonda, la Spagna decolla”. Ovvero chi ha accompagnato un’austerità durissima con manovre strutturali sul mercato del lavoro e sui tagli alla Pubblica amministrazione comincia a raccogliere i frutti di scelte impopolari ma alla fine utili. Chi si è limitato ad aumentare la pressione fiscale per far quadrare i conti, rinunciando alle riforme o annacquandole il più possibile sia in sede legislativa che, soprattutto, al momento della loro entrata in vigore, continua a perder posizioni. E a rischiare una rivolta all’interno che potrebbe contagiare il resto della comunità. La diagnosi del male italiano, del resto, è semplice: “I Paesi che hanno fatto riforme profonde e serie stano andando meglio. L’Italia, che non le ha fatte, non sta andando bene”.
C’è da chiedersi se la requisitoria di Draghi giochi a favore o contro l’azione di Matteo Renzi. Buona la prima, se il premier dimostrerà finalmente di saper cambiare passo. Basta con la politica degli annunci. Sì alla spending review, alle privatizzazioni, soprattutto a un programma organico da realizzare in tempi brevi. Come quello della Spagna che, sette mesi fa, ha annunciato e varato la riforma del mercato del lavoro. Altrimenti, se le parole resteranno tali di qui a fine anno, la situazione rischia di precipitare. E la richiesta di un aiutino da fuori, così comune nella storia patria, prenderà piede. Ma attenzione: stavolta dall’Europa non arriverà alcun piano Marshall o una maggior flessibilità.