La politica è stata finora sorda al grido dei poveri e dei senza-potere. Anche in questa campagna elettorale per le Regionali in Sicilia abbiamo dovuto registrare soprattutto beghe fra coalizioni, denunce incrociate fra candidati, duelli a colpi di video rubati e di insulti. Tanto che in molti va crescendo una disaffezione al voto, che neppure i nuovi liberatori (ieri Grillo è sbarcato in Sicilia) riescono a mitigare.
E’ singolare che a parlare dei problemi della gente di Sicilia e a farci ritornare perciò coi piedi per terra siano proprio i vescovi con un documento sulle prossime elezioni regionali reso noto ieri e ricco di spunti metodologici e di idee.
Alla Sicilia, ormai tutti ne siamo convinti, serve una svolta radicale, ma essa per essere realistica ed efficace deve partire da una presa di coscienza degli errori del passato e favorire una novità di metodo.
Partiamo, anzitutto, dalla piaga principale che ha corrotto l’azione politica: la convinzione che la crescita e persino le risposte concrete ai bisogni della gente dovessero venire da mamma-Regione. In questo modo, negli anni, si è creato un miscuglio perverso di spesa improduttiva e di scambio clientelare: la politica elargisce favori, i cittadini mettono a disposizione il loro voto. Questa maniera di vivere il proprio ruolo all’Assemblea regionale ha fatto smarrire agli amministratori la consapevolezza che lo sviluppo è soprattutto un processo di costruzione sociale che cresce dal basso.
La novità, per questa ragione, non può essere ridotta a slogan o a programmi scritti sulla carta ma mai applicati. I cittadini sono stufi di promesse, a tal punto da essere divenuti scettici rispetto a qualsiasi proposta. La novità può nascere, invece, dallo sviluppo di ciò che di bene già c’è, in altre parole dalle buone pratiche. Ne esistono in Sicilia? In questi ultimi anni fra tanto clientelismo e tanta corruzione c’è stato qualche segno positivo, qualche tentativo sociale ben riuscito che ha meritato l’attenzione della politica? Se si risponde positivamente a queste domande, ci può essere via d’uscita alla mala politica. Nel documento dei vescovi ci sono alcuni esempi di “interventi pubblici che hanno dato buoni risultati proprio perché orientati a valorizzare la vivacità del tessuto sociale ed economico ed opportunamente supportati da interventi tecnicamente competenti dell’amministrazione”. Il riferimento è al microcredito alle famiglie, al buono scuola, al credito d’imposta per gli investimenti, al Banco alimentare. La buona politica valuta l’effetto di queste iniziative e se riscontra risultati positivi le incoraggia e le sostiene, se, invece, verifica che hanno prodotto effetti perversi non le sostiene più.
La realtà dei fatti ci dice, invece, che finora è stato seguito un ragionamento diverso: è stato salvato ciò che ha garantito lo scambio clientelare ed è stato tagliato (o cancellato) ciò che ha prodotto effetti positivi sulla società ma non ha prodotto ritorno elettorale.
I candidati alla guida della Regione hanno uno strumento semplice per costruire una buona politica. Non hanno bisogno di slogan o di programmi faraonici, basta che guardino le buone pratiche, le buone imprese, e le buone idee e decidano di scommettersi sul loro potenziamento.