Nel novembre del 2011, all’epoca dell’avvicendamento alla guida del governo tra Berlusconi e Monti, eravamo in pieno delirio da spread. Pareva che i conti italiani potessero esplodere da un momento all’altro e che il Paese fosse in procinto di fallire. Buona parte dei media dipingeva futuri scenari apocalittici, contribuendo a indurre il terrore che lo Stato non sarebbe più riuscito a pagare stipendi e pensioni e che tra le strade sarebbe iniziata a serpeggiare la violenza. Oggi sappiamo che quei timori erano tutt’altro che fondati. Tant’è, abbiamo accettato la somministrazione di una cura che ha fortemente ridotto il perimetro della nostra economia. Oggi abbiamo anche qualche elemento in più per capire cosa accadde realmente in quei giorni. Nel libro “El Dilema” visionato in anticipo della Reuters, per esempio, Zapatero rivela che l’11 novembre del 2011, quando era ancora il primo ministro spagnolo, Angela Merkel lo avvicinò nel corso del vertice di Cannes. «Mi chiese se fossi disponibile a chiedere una linea di credito preventiva di 50 miliardi al Fmi mentre altri 85 miliardi sarebbero andati all’Italia. Anche la mia risposta fu diretta e chiara: “no”». Accettare gli aiuti, infatti, avrebbe significato impiccarsi ad un durissimo commissariamento che avrebbe imposto ai cittadini severissime misure afflittive: più tasse, riduzione dei salari, taglio dei dipendenti, svendite all’ingrosso. Come in Grecia. Rispetto alle pressioni sul nostro Paese, poi, Zapatero ricorda la risposta dell’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: «Posso pensare a modi migliori per commettere un suicidio». Giulio Sapelli, professore di Storia economica all’Università di Milano, ci dice la sua sulla vicenda.
E’ verosimile ciò che racconta Zapatero?
Direi di sì. Chi avesse letto con attenzione il libro di Tremonti, Uscita di sicurezza, capirebbe subito che, in quegli anni, l’allora ministro dell’Economia fece di tutto per battersi contro il Fondo monetario internazionale, e contro la politica europea dell’austerità. Sono convinto che la crisi del 2011 venne architettata non tanto per far fuori Berlusconi, quanto per far fuori proprio Tremonti. Peraltro, gli ho chiesto personalmente se le cose stessero effettivamente così.
E Tremonti che le ha risposto?
Né sì, né no. Ovviamente.
Perché volevano farlo fuori?
Per le sue critiche durissime nonché fondatissime a Christine Lagarde e Angela Merkel. Era, inoltre, notoriamente il cervello pensante del governo e, per i fautori dell’austerità, da lui fortemente osteggiata, avrebbe potuto rappresentare un pericolo. Tanto più che, all’epoca, come si ricorderà, era piuttosto stimato in Europa e all’interno dell’Ecofin.
Se il governo Berlusconi fosse rimasto in piedi, cosa avrebbe potuto fare Tremonti in Europa?
Beh, questo non saprei dirlo. Non dobbiamo dimenticare che, prima di ogni altra cosa, avrebbe dovuto convincere Berlusconi stesso e seguirlo sulla sua linea. Il dissenso, in particolare, era sull’idea di Tremonti di un nuovo forte intervento dello Stato nell’economia. Inoltre, avrebbe dovuto convincere il Pd, maggiormente schierato su posizione neoliberiste. Dubito, tuttavia, che avesse l’intelligenza politica e il carattere per riuscire nell’operazione. In tal senso, compì un errore in particolare.
Quale?
Non utilizzò la Lega come arma politica.
Cosa sarebbe successo se avessimo ceduto alla pressioni della Merkel e avessimo accettato la linea di credito dall’Fmi?
Avremmo avuto la Troika in casa. E il pericolo di desertificazione che intravediamo in questa fase, sarebbe cominciato già allora e, probabilmente, con maggiore dirompenza. Anche se, probabilmente, gli americani non lo avrebbe permesso.
Perché no?
Perché gli Stati Uniti sono il principale avversario della Merkel e della sua politica deflattiva. Non possono di certo permettersi che l’Europa, economicamente, si desertifichi.
Rifiutare gli aiuti, ma accettare gli ispettori, fu un buon compromesso?
Non direi. In Italia, non ci doveva metter piede proprio nessuno.
C’è il rischio che a Letta capitino le stesse vicende?
E’ dotato di maggiore autonomia e gode di un forte appoggio da parte della Francia. Non dimentichiamo che deve le sue fortune politiche all’appoggio di potenti gruppi francesi. Credo che potrà muoversi in Europa con maggiore destrezza.
(Paolo Nessi)