Nonostante lo stallo istituzionale, l’avvicinarsi dell’elezione del presidente della Repubblica e le preoccupazioni espresse di recente da Dario Franceschini riguardo un’eventuale spaccatura all’interno del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani esclude ogni ipotesi di scissione. “Non abbiamo rischi di questo genere”, dice il segretario Pd incontrando i giornalisti alla Camera, ma è ormai chiaro quanto le tensioni interne si stiano facendo sempre più forti. Le polemiche legate all’esclusione di Matteo Renzi dai grandi elettori della Toscana per il nuovo Capo dello Stato hanno ulteriormente incrinato una già debole stabilità interna, mentre Rosy Bindi si rende protagonista dell’ultimo affondo contro Bersani dichiarando che un eventuale esecutivo “di minoranza” del Pd, varato grazie all’astensione del Pdl, rischierebbe di far finire il partito tra le mani di Silvio Berlusconi. Anche Massimo D’Alema, dopo un recente incontro proprio con il rottamatore fiorentino, ha confermato che “quel voto è stato un errore”, dicendosi però convinto che non ci sia stata “nessuna telefonata” da Roma, come invece sostenuto da Renzi su Facebook. Il presidente uscente del Copasir, come Bersani, ha quindi allontanato ogni ipotesi di scissione: “Non mi pare che ci sia nel modo più assoluto”. E ancora, riguardo al colloquio con Renzi: “Due come noi che dovrebbero scindersi vengono invece da una cordiale e amichevole conversazione”. Secondo il giornalista e blogger Mario Adinolfi, contattato da IlSussidiario.net, qualcosa all’interno del Pd sta effettivamente avvenendo. Non una vera e propria “scissione”, ma un radicale cambiamento che comunque porterà i diversi protagonisti su strade differenti.
Cosa crede stia accadendo nel Partito Democratico, in particolare dopo l’esclusione di Renzi dai grandi elettori della Toscana?
Quello che è stato fatto a Renzi è certamente molto grave. Non tanto per l’esclusione in sé, visto che la nomina a grande elettore è in fondo secondaria e puramente simbolica, ma perché il Pd ha preferito dare il proprio appoggio a un personaggio come Alberto Monaci.
Come interpreta una scelta di questo tipo?
Tra un 38enne sindaco di Firenze, potenziale leader di un rinnovamento del Paese e probabile punto di riferimento del futuro del partito, il gruppo del Pd ha scelto di votare un deputato 73enne della decima legislatura repubblicana, una scelta che evidentemente non tiene conto di quanto l’Italia sia stravolta. Proprio la mancata comprensione di quanto sta accadendo è all’origine dei maggiori problemi del Partito Democratico, ormai da diversi mesi a questa parte.
Anche D’Alema ha definito un “errore” il voto del gruppo del Pd…
Sono lieto che anche D’Alema riconosca l’errore, a conferma del fatto che in questa fase Bersani è totalmente solo, lui con il suo fortino aggregato. Detto questo, fossi stato Renzi avrei evitato di “rivitalizzare” D’Alema, meno che mai in questa fase così delicata.
Un incontro, quello tra i due, che non doveva avvenire?
Un incontro che non fa bene a nessuno, tantomeno al Paese, anche perché non vorrei che D’Alema si sia convinto di poter fare il presidente della Repubblica.
E’ d’accordo quindi con Franceschini, il quale ieri ha detto di essere preoccupato “per la prima volta” di un rischio scissione nel Pd?
Franceschini ha ragione, ma vorrei aggiungere che, in tutta evidenza, le primarie farsa di dicembre scorso hanno messo in piedi un gruppo parlamentare sostanzialmente bersaniano, in termini politici di natura socialdemocratica. Una linea del genere è chiaramente incompatibile con l’approccio “liberal” di Renzi e con quello di molti altri all’interno del Pd, quindi è proprio lo schema nato da quelle primarie ad aver posto le condizioni di una cosiddetta scissione, anche se non credo che sia questo il termine migliore per definire ciò che sta accadendo.
Non sarà una vera e propria scissione?
Assisteremo semplicemente a un’inevitabile presa di coscienza del fatto che due cose totalmente differenti non possono convivere. Come ho scritto chiaramente anche sul mio blog, in cui tra l’altro invito Renzi a prendere atto di questa condizione, credo che il sindaco di Firenze sia un leader capace di unire trasversalmente una base sociale composta prevalentemente dai 29 milioni di italiani nati dopo il 1970, quelli che stanno pagando il prezzo più alto della tragedia di una classe dirigente vecchia e incapace, e ciò che in Inghilterra chiameremmo “New Labour”, cioè quella sinistra in grado di capire che il suo futuro non guarda al passato, ma riuscirà ad adeguarsi alla contemporaneità.
Renzi sarà capace di fare tutto questo?
Una leadership come quella di Renzi può pescare a tutto campo ed essere maggioritaria nel Paese, a meno che non si faccia stritolare dai meccanismi del Pd a cui si sta adeguando da fin troppo tempo, precisamente dal 6 ottobre 2012, quando accettò le regole di quelle primarie costruite ad hoc per farlo uscire sconfitto.
Come si dividerebbero allora le due “anime” del Pd?
Renzi potrebbe portare avanti un progetto di sinistra “liberal” attraverso un appello al rinnovamento palingenetico del Paese, mentre il residuato del post marxismo si organizzerebbe per mettere in piedi il tanto agognato partito “duro e puro” che sogna il partito di classe. Credo che in questo momento Renzi abbia tutto l’interesse a non permanere in una condizione come quella attuale, altrimenti nel tracollo del Partito Democratico, sotto le macerie, ci finirà proprio lui.
Cosa crede potrà realisticamente accadere nei prossimi giorni?
Sono abbastanza convinto che Berlusconi e Bersani tenteranno un accordo “anti-Renzi” che produrrà un presidente della Repubblica di aria Pd e un governissimo, cioè tutto il contrario di quello che Bersani ha dichiarato fino a questo momento. Tutto ciò ovviamente porterà delle conseguenze, ma credo che ci sarà un voto politico in coincidenza con le elezioni europee del 2014 e che Renzi dovrà tenersi pronto. Quello sarà il suo vero banco di prova.
(Claudio Perlini)