E’ rimasto in silenzio per 54 giorni, Mario Draghi: da quella sera drammatica dell’11 luglio a Bruxelles, a metà della lunga maratona che decretò il salvataggio della Grecia e forse dell’euro. “Mi sta prendendo in giro?” ringhiò Wolfgang Schauble, il superfalco tedesco, al presidente della Bce che perorava la causa degli aiuti alle banche elleniche. La riunione dell’Eurogruppo fu bruscamente interrotta e solo nella notte successiva Angela Merkel riannodò d’autorità le fila spezzate dell’eurozona. Sempre ammesso che non si tratti di un’illusione ottica, cominciò quella sera la singolare palingenesi della super-cancelliera tedesca fuori dall’arcigno rigorismo “aritmetico” di Schauble & Co.
Ieri, per la verità, i tremila profughi siriani destinati all’asilo in Germania erano ancora bloccati in Ungheria quando Mario Draghi ha snocciolato a Francoforte le cifre di una ripresa europea “più debole delle attese”. E ha detto che sta già pensando a proseguire il quantitative easing dell’euro oltre la scadenza del settembre 2016: strappata con immensa fatica a inizio anno ai medesimi falchi tedeschi. Probabile che Draghi non abbia discusso con la Merkel le sue dichiarazioni dopo il consiglio generale della Bce: lo showdown sulla Grecia, aveva visto, fra l’altro, il presidente Bce costretto a rispondere a un’inusuale convocazione alla Cancelleria di Berlino. Ma è verosimile che Draghi abbia tenuto conto – nel prendere posizione in termini più netti delle attese – di un nuovo zeitgeist in Germania e nei palazzi di Berlino, in una core Europe assediata da migranti e ucraini filo-russi, da britannici con la valigia in mano ma soprattutto da europei poveri e arrabbiati.
All’origine di una sorta di “fuga in avanti” della Bce rimangono però due fattori economici esterni, collegati. Il primo è sicuramente l’inatteso collasso della Borsa cinese e la brusca caduta dello yuan. Non è aria per ritirare la liquidità di sicurezza che da sette anni tiene tranquilli tutti: governi, banche centrali, mercati e intermediari di ogni specie. Può essere invece il momento buono, dice la Bce, per ricaricare il bazooka. Non è aria neppure per tenere forte l’euro in uno scenario di “guerra delle valute”, con l’Europa che non accelera mai e con gli emergenti tutti col fiatone dopo aver fatto da locomotive negli anni più duri della crisi euroamericana.
A proposito di America: da ieri sono in netto aumento le quotazioni di un nuovo pass del Fomc che fra dodici giorni è chiamato a decidere se iniziare o no il rialzo dei tassi Usa. Può darsi che Janet Yellen difenda una credibilità virtuale con una mossa simbolica: ma la determinazione di Draghi, ieri, ha avuto anche l’aria di un assist alla collega della Fed. Che ha ora un argomento in più da opporre ai suoi falchi (per la verità non molti): e per non dare l’impressione di appiattirsi sul puntuale caveat del presidente della Fed di New York, William Dudley, portavoce di una Wall Street che sull’iperliquidità e sui tassi-zero ha ricostruito le sue fortune.