“Le misure annunciate dalla Bce sono come la bombola di ossigeno che tiene in vita il malato senza guarirlo. Ciò che occorre è un’operazione chirurgica, ma abbiamo paura di farla”. A evidenziarlo è Mario Deaglio, già professore di Economia internazionale nell’Università di Torino. Ieri al termine della riunione della Bce, Mario Draghi ha annunciato di essere pronto a fare di più sul piano del quantitative easing (Qe), cioè l’acquisto di titoli sui mercati per stimolare l’economia. Tre gli strumenti a disposizione: aumentare l’ammontare del Qe; prolungarne la durata rispetto alla scadenza del settembre 2016; ampliare la tipologia dei titoli da comprare. Le misure potrebbero essere necessarie in quanto la Bce ha rivisto al ribasso le stime sul 2015 per quanto riguarda l’inflazione, dallo 0,3% allo 0,1%, e il Pil, dall’1,5% all’1,4%.
Che cosa dobbiamo attenderci dopo le dichiarazioni della Bce?
La vera questione è se dobbiamo attenderci o meno che i governi facciano qualcosa. Il solo pronunciamento della Bce non cambia nulla, in quanto quella di Francoforte è una diagnosi, la constatazione di uno stato di fatto e non piuttosto un provvedimento che aumenti ulteriormente la quantità di moneta. Sui governi non avrà nessun effetto. Non mi sembra che l’Eurotower proponga di fare delle cose nuove.
Quanto deve preoccuparci l’inflazione allo 0,1%?
Questo 0,1% è il risultato di movimenti molto diversi. In particolare sconta il ribasso del prezzo del petrolio e di tutti i prodotti energetici. Non è quindi un giudizio negativo sull’economia europea, ma un fatto esterno che in qualche modo è a nostro favore. E’ l’equivalente di un aumento della quantità di moneta in circolazione: invece di dare soldi ai produttori di petrolio, gli utilizzatori pagano meno e quindi hanno maggiori risorse a disposizione.
Lei è favorevole a un uso più massiccio del Qe?
Il quantitative easing è stato fatto per rilanciare le economie, perché la gente spendesse di più e perché i prezzi salissero un pochino. L’operazione però sembra non avere raggiunto i risultati, o non averli raggiunti in pieno. Del resto l’esperienza americana ci dice che è così un po’ dappertutto. Il Qe è come le bombole d’ossigeno: finché è attaccato, il malato respira, ma non smette per questo di essere malato. E prendere troppo ossigeno fa anche male ai polmoni.
Il Pil Usa del secondo trimestre 2015 è stato rivisto al rialzo al 3,7% anziché al 2,3% previsto inizialmente. In che senso lei dice che il Qe non ha funzionato?
Le revisioni del Pil trimestrale americano sono fin troppo frequenti ma la previsione annuale è del 2,3%. Occorre però tener conto che la popolazione Usa aumenta dell’1,6% l’anno contro quasi lo 0% dell’Italia. In proporzione alla popolazione, la crescita del Pil Usa è assai poco più della nostra. Questo nessuno lo mette mai in evidenza, ma la crescita Usa ha una forte componente demografica. Quello americano è pur sempre un bel risultato, specie se lo si mette a confronto con gli altri Paesi ricchi. Ma dopo tre Qe da parte della Fed la situazione economica è ancora precaria. Non c’è una vera crescita consolidata.
Se il Qe non ha funzionato negli Usa, allora anche la ricetta della Bce è sbagliata?
Questa è un’esagerazione, la ricetta della Bce è un tentativo di trovare una soluzione. Un tentativo che finora però ha portato a risultati inferiori alle attese.
L’Eurotower ieri ha annunciato che continuerà a fare la stessa cura sperando che poi le cose vadano meglio. Secondo lei bisogna continuare con questa cura o ce ne possono essere delle altre?
Sul piano monetario c’è poco altro da fare. L’alternativa è una cura molto pesante che implicherebbe una diversa distribuzione di redditi e ricchezza e una maggiore presenza pubblica nell’economia. Per tornare alla metafora di prima, l’alternativa è tra lasciare il malato attaccato all’ossigeno e operarlo. Solo che non vogliamo fare l’operazione perché ci fa paura.
In che cosa consisterebbe l’operazione?
In una diversa struttura fiscale con imposte disegnate in modo differente, basate su aliquote molto più progressive per andare a colpire quelle rendite finanziarie che in larga misura riescono a sfuggire alla tassazione. Andrebbe inoltre reintrodotto anche qualche controllo di capitale, cosa che nessuno vuole. In questo modo si metterebbero dei soldi nelle mani di quanti ne hanno pochi: queste persone spenderebbero e la domanda aumenterebbe.
Negli anni 80 e 90 per fare ripartire l’economia si detassavano i ricchi. Perché oggi si dovrebbe fare l’esatto contrario?
Stiamo constatando che se stampiamo moneta e la diamo ai più ricchi, questi ultimi non fanno investimenti ma speculazione. E’ ciò che sta avvenendo dal 2008. I tre quantitative easing fatti negli Usa non hanno prodotto un vero risultato. Sono cioè rimasti nelle mani del mondo finanziario senza affluire all’economia. La finanza fa dei prodotti sempre più sofisticati, ma all’impresa che ha bisogno di credito non resta quasi nulla.
(Pietro Vernizzi)