Con la sentenza Mills si va verso una distensione oppure un inasprimento dei rapporti tra maggioranza e opposizione e all’interno dello stesso centro-destra? Il fatto che il Capo dello Stato sia sceso in campo per raccomandare senso di misura e di responsabilità (guardando criticamente non solo a Berlusconi, ma anche allo stesso Csm che Napolitano ha esortato a non smentire i segnali di dialogo registrati in Parlamento) significa che l’ottimismo non è scontato.
Tra poche settimane si vota per le Regionali e quindi, doppiato il 29 marzo, Berlusconi e la sua maggioranza hanno di fronte il triennio conclusivo della legislatura senza altri test elettorali nazionali. E’ ragionevole pensare che si possa finalmente dar vita ad un “tavolo istituzionale” intervenendo – come ha sollecitato Giorgio Napolitano – sul terreno delle riforme e dei rapporti tra politica e magistratura. Il test elettorale di fine mese influirà quindi sulla definizione dei rapporti di forza su cui dovrà basarsi questo “tavolo istituzionale”.
Per Berlusconi si tratta di registrare una conferma di consenso maggioritario e poter vantare un’avanzata nel consolidamento territoriale del Pdl conquistando il Lazio e la Campania. Per il Pd si tratta invece di poter ottenere, oltre a un recupero di voti, un indebolimento di Berlusconi anche in vista della trattativa. Ma soprattutto è da verificare il margine di manovra che il Pd potrà avere e cioè se sarà in grado di muoversi indipendentemente da Di Pietro.
In questo senso rischia di essere determinante il peso che il giustizialismo avrà nelle urne. Schematicamente il Pd oggi deve scegliere tra Di Pietro e Napolitano. Non a caso da mesi Di Pietro si scaglia contro il Quirinale. Da tempo il Capo dello Stato svolge infatti un ruolo di moderazione per ragioni istituzionali ed anche politiche. In primo luogo è preoccupato della tenuta del Paese in campo internazionale dati gli impegni sottoscritti anche in missioni militari e per il superamento della crisi finanziaria contenendo al massimo i costi sociali. A tal fine cerca di assicurare rapporti di governo e di controllo evitando un clima incendiario che li renda difficili e poco trasparenti.
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D’altra parte come leader storico della sinistra italiana – senza mancare di correttezza istituzionale – ha il naturale desiderio di vedere in Italia nascere dopo la fine del comunismo una alternativa riformista e progressista. Il suo modello è una sinistra di governo come “forza tranquilla” di stampo togliattian-mitterrandiano. Pertanto considera negativamente – in una dimensione non di alternativa di governo – una sinistra sbracata nel dipietrismo. E’ anche in questo senso che vanno letti i suoi precedenti più impegnativi messaggi: da quello di fine anno di apprezzamento persino di alcuni ministri fino alla lettera alla vedova di Craxi.
Ma è il Pd di D’Alema e Bersani in grado di poter contestare ed in futuro battere Berlusconi stando solo sul piano politico e senza cavalcare toni di acceso antiberslusconismo sperando in un “arrivano i nostri” da parte di magistrati? Il modo in cui Bersani sta svolgendo la campagna elettorale, in particolare al Nord ed in Lombardia, è abbastanza grigio e per il centro-destra non insidioso.
Secondo i moduli della demagogia populista abbiamo i poster della “gente qualunque” che chiede e poi la comparsa di quello del “leader” che promette tutto a tutti. Che cosa significa una campagna basata sulla promessa di bloccare il nucleare, di distribuire una pioggia di bonus, di assicurare una sanità “facile”? In sostanza meno competitività e più assistenzialismo ovvero uno Stato più pesante e un’Italia più ferma.
Difficile che una simile piattaforma possa rovesciare il centro-destra e far vincere la sinistra. E’ evidentemente una piattaforma “di parcheggio”. La verità è che in sostanza i postcomunisti, ancora una volta, si affidano agli scandali. Infatti il vero attacco che il governo ha da fronteggiare seriamente è non solo il coinvolgimento di propri esponenti in infamanti accuse, ma più un generale l’emergere di un’immagine devastante dell’Italia come di un Paese nel caos secondo l’improvviso e simultaneo emergere di più inchieste.
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E pertanto se nelle elezioni si dovesse registrare un indebolimento di Berlusconi ciò sarà letto come il risultato delle iniziative giudiziarie e quindi il Pd rimarrà ulteriormente inchiodato alla “via giudiziaria” e sarà più difficile, se non impossibile, per Bersani muoversi indipendentemente da Di Pietro.
Ma le inchieste stanno spostando voti a sinistra? Il pericolo per il Pdl in queste settimane è una perdita di voti a favore della Lega e dell’astensionismo. Nessuno registra flussi da destra a sinistra mentre lo stesso Pd, in alleanza organica con Di Pietro e la Bonino, rischia ormai di perdere consensi ex Dc ed ex Margherita e di veder rifluire nell’astensionismo un’area riformista non interessata ad essere al traino di un dipietrismo più consono all’estrema destra e all’estrema sinistra.
Dopo il 29 marzo il Pd di Bersani e D’Alema non potrà eludere la scelta inevitabile che ha di fronte e dire chiaramente se si muoverà nella direzione indicata da Giorgio Napolitano o se si lascerà risucchiare nella scia di Antonio Di Pietro.