Le regioni sentono il fiato sul collo. Si abbatterà a breve, sui propri bilanci, l’ennesima scure. Agli 1,8 miliardi di euro di tagli per la sanità previsti dalla spending review, se ne aggiungeranno altri 1,3, decisi con la Legge di stabilità. Ma non sarà la sanità l’unico settore a essere penalizzato. «Abbiamo una fortissima preoccupazione: su Regioni ed Enti locali insistono manovre che compromettono la possibilità di erogare servizi. Questo compromette, nei fatti, la possibilità di erogare servizi in particolare nella scuola e nella sanità in un momento di grave crisi economica», ha affermato il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani. Abbiamo chiesto ad Antonello Zangrandi, professore di Economia aziendale presso l’università di Parma, come potrebbe evolvere la situazione.
Sul fronte della sanità, anzitutto, che effetti produrranno i tagli?
Ogni Regione si comporterà come riterrà opportuno. Tuttavia, a livello generale, possiamo ipotizzare che si verificheranno una serie di inconvenienti. Per citarne alcuni, è verosimile che si produrrà un rallentamento nelle assunzioni che renderà alcuni reparti scoperti, i fornitori saranno pagati con tempistiche più lunghe, saranno scelti prodotti meno costosi, si allungheranno le liste d’attesa, sarà ridotta la quota di Rsa per gli anziani e ci sarà un decadimento generale perché le apparecchiature mediche non saranno rinnovate.
E i servizi minimi?
Credo che almeno la gestione delle emergenze continuerà a essere garantita.
Cosa accadrà sul fronte della scuola?
Alle Regioni spettano, in particolare, le competenze sulle attività di formazione delle scuole professionali. Prevedibilmente, anche in tal caso, il servizio erogato potrebbe risultare inferiore alle necessità. Non sono escluse, inoltre, ripercussioni sull’erogazione dei buoni scuola, laddove la Regione gli prevede.
Come giudica, in generale, le falcidie del governo?
Si tratta di semplici tagli lineari, niente di più. E, come tali, risulteranno del tutto inefficaci. Ridurre i costi, infatti, è un’operazione estremamente più complicata. A fine 2012 si comprenderà come gli interventi di questo genere non sortiscono alcune effetto. A questo si aggiungono alcune modalità di azione del tutto prive di realismo, quali la rinegoziazione, nell’ambito della spending review, di tutti in contratti in essere, prevedendone il ribasso al 5%. Una sorta di misura retroattiva che ignora gli accordi presi in precedenza. Ma, l’errore più grande, consiste nel trattare tutti allo stesso modo.
Cosa intende?
E’ giusto chiedere a tutte le Regioni di contribuire. Ma ciascuna secondo la propria storia e le proprie caratteristiche.
Concretamente, cosa significa?
Si sarebbe dovuto continuare sulla strada dell’identificazione dei costi standard che potessero agire da parametro di riferimento a cui legare i trasferimenti; si sarebbe dovuto premiare le Regioni che li rispettavano e, viceversa, sanzionare quelle che sforavano. Il che, avrebbe ottenuto ottimi risultati e prodotto la responsabilizzazione degli amministratori locali. Francamente, il perché si sia deciso di agire in tutt’altra maniera è per me un mistero. Non riesco a individuare alcuna motivazione logica.
Anche alla luce della recente controriforma del titolo V, trova che si stia agendo secondo un’ottica statalista?
Anche le reazioni agli scandali che stanno travolgendo diverse regioni, effettivamente, procedono in questa direzione. Sta passando il concetto per cui è meglio che il controllo sia centralizzato, perché più equo. Una follia. La spesa sanitaria dal 1980 al 2001, quando con la riforma del Titolo V è stata delegata alle Regioni, è aumentata ininterrottamente.
(Paolo Nessi)