Sta diventando tutto confuso e incerto. Si potrebbe dire schizofrenico, anche sulla realtà della cosiddetta “ripresa congiunturale con alcuni elementi strutturali”, del cosiddetto rimbalzo economico di questi mesi.
Ormai, a giorni alterni, si parla di ripresa o di continua stagnazione o recessione. E alcuni dati escono quasi a sorpresa, alla fine di una sequenza che sembrava confortante con lo scatto del Pil stimato in crescita tra l’1,3 e l’1,5 per cento, che pur collocandoci tra i “corridori” di coda dell’Europa, ci toglieva dall’imbarazzante crescita legata agli “0 virgola” degli anni precedenti.
E’ quanto meno imbarazzante constatare che Matteo Renzi si metta a twittare, come si dice oggi, quasi con foga sui dati buoni del Pil e, a parole o a prima vista, dell’occupazione, ma poi resti silenzioso rispetto al nuovo record del debito italiano, che ha ormai raggiunto i 2.300 miliardi di euro.
Insomma, mentre tutto andrebbe bene, il debito italiano è cresciuto in un mese di 18,6 miliardi, ma complessivamente, nei primi sette mesi del 2017 (stiamo parlando di fine luglio) il debito è cresciuto di 50 miliardi di euro.
Cioè, praticamente quasi il doppio dell’importo complessivo della manovra, la nuova legge di stabilità, che ci apprestiamo a predisporre e a mantenere la strada su quello che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, chiama il “sentiero stretto”.
Quello che non si riesce a trovare sui giornali e nelle “informatissime” trasmissioni televisive è la percentuale del debito rispetto al Pil, se pure sia dato in crescita. Forse ci sono delle “dimenticanze” da parte dei commentatori e degli osservatori specializzati.
A nostro parare il debito è ormai vicino, se non superiore, al 133 per cento. Guardiamo al proposito questa sequenza: nel 2013 il debito era pari al 129 per cento del Pil; nel 2014 è salito al 131,8; al 132,1 nel 2015 e al 132,6 nel 2016. Ora se anche il Pil crescesse quest’anno dell’1,5 per cento, aggiungerebbe quasi 25 miliardi al prodotto interno lordo, ma se il debito si aggrava nei primi sette mesi di 50 miliardi, significa che sono già sfumati ben tre punti di Pil.
Non siamo dei tecnici di bilanci, facciamo solamente una stima, ma chiediamo: si potrebbe avere un chiarimento sul rapporto in percentuale debito-Pil magari accompagnato da un tweet? Invece c’è un silenzio quasi imbarazzante.
Tutto questo si accompagna ai dati sull’occupazione, dove si raggiunge, appunto, quasi la schizofrenia. Nello stesso giorno un grande quotidiano italiano ha titolato, nella stessa pagina, che era aumentata l’occupazione ai livelli del 2008, ma nello steso tempo era aumentata anche la disoccupazione se si guardano i dati dei contratti a termine, degli occupati che vengono calcolati perché hanno lavorato magari un paio d’ore alla settimana oppure se ci immerge nella tragedia della disoccupazione giovanile, che è spaventosa per ampiezza e realmente paragonabile a una bomba sociale se si guarda, specificamente, la realtà del Sud italiano. E’ possibile che ci si debba orizzontare in questa giungla di dati e di considerazioni scorporate per avere un quadro esatto della situazione economica italiana?
Qui ritorniamo all’incertezza e alla delusione crescente degli italiani in vista delle prossime elezioni, prima siciliane e poi generali, e ai prossimi anni. E alla paura per il futuro che la nostra società deve affrontare.
Quindi si pensa inevitabilmente alle previsioni dell’Ecofin, che parlano di una crescita italiana stimata intorno a meno della metà dei Paesi europei, per decenni. E’ impossibile non considerare che, prima o poi, Mario Draghi lascerà la Banca centrale europea e in questa, dove i tedeschi sono la maggioranza relativa, vorranno stoppare il Quantitative Easing che ha salvato i nostri titoli di Stato in questi anni, oltre, a quanto si dice, le obbligazioni di diverse aziende. Tanto per fare una stima, si calcola che a fine 2017 sarà di ben 400 miliardi il valore dei titoli italiani acquistati dalla Bce sul mercato secondario in questi anni.
Lo stesso “sentiero stretto”, cosi caro a Padoan e al suo socio Pierre Moscovici, non appare affatto una strada convincente. Proprio guardando la sequenza della crescita del debito e quella del Pil in questi anni, il “sentiero stretto” è stato il tentativo di conciliare il sostegno alla ripresa con la riduzione del rapporto debito-Pil. Non funziona.
Da un lato perché la ripresa non è abbastanza forte per assumere una dimensione significativa, dall’altro perché il deficit annuale è rimasto troppo alto per consentire una riduzione del rapporto debito-Pil. Alla fine emerge l’opportunismo, il salvare “capra e cavoli” e, in fondo, l’incompetenza politica dei tecnici, dei tecnocrati e dell’attuale classe dirigente in generale, compresa ovviamente la politica. Di fatto si sono fatte due mezze politiche, per non scegliere una strada più chiara.
Cercare di conciliare la “scelta dell’austerità” con alcuni tratti di “flessibilità”, rispettando i parametri, è di fatto una rinuncia alla politica, a una seria trattativa sulla complessiva politica europea.
E qui ritornano fuori tutti i dubbi del passato prossimo, di quel 2011, con certamente a Roma un governo Berlusconi disastroso in plancia, ma con manovre poco chiare in tutta Europa.
E’ ancora impressionante leggere il commento di Jurgen Habermas del “colpo di stato quieto” a “bordate” di rialzo dello spread, in modo che il debito sovrano italiano, alla fine, diventasse debito sovrano europeo, con una punizione per i cittadini italiani e greci, che secondo alcuni sarebbero stati costretti a finanziare niente meno che le banche tedesche e francesi coinvolte in rischi letali dai loro giochi spregiudicati. Persino il Fondo monetario internazionale, che arriva sempre in ritardo, magari dopo aver compiuto dei disastri, ha dovuto ammettere che la politica di austerità ha mandato l’Eurozona in recessione, soprattutto l’Italia e ha ucciso la Grecia.
Durante una trasmissione televisiva, anche la professoressa Elsa Fornero, quasi sempre sicura del fatto suo, ha dovuto ammettere che effettivamente le politiche di austerità non potevano favorire la crescita e quindi non hanno giovato al benessere dei cittadini. Ma non bastava guardare i grafici e l’escalation del rapporto tra debito e Pil?
Come è strana questa politica italiana, dopo il “vuoto” che ha creato Antonio Di Pietro, per sua stessa ammissione, a distanza di 25 anni! Ma senza coinvolgere i singoli protagonisti politici, economici e giudiziari delle vicende italiane, non è che forse siamo stati complessivamente colti da una schizofrenia collettiva che va curata sul lettino dell’analista?