Si chiama «Unione democratica di centro» (Udc) ma è un partito nazionalista orientato piuttosto a destra. Sono loro i vincitori delle elezioni federali svizzere (con il 30% dei voti). E’ il partito dell’imprenditore Christoph Blocher, forse l’unico nome noto della politica svizzera a livello internazionale. Una seconda forza politica di centrodestra, il Partito liberale radicale (16,4%), ha rafforzato la sua presenza nel Parlamento federale. Fermi i socialisti (al 20%) e i democristiani (11,6%), in picchiata i verdi (al 7,1%). Quali fattori hanno determinato questo scenario, caratterizzato da una forte svolta a destra?
La campagna elettorale è stata dominata dal tema delle migrazioni (in Svizzera gli stranieri sono circa il 22% della popolazione), degli accordi bilaterali con l’Europa che impongono la libera circolazione delle persone e delle conseguenze che questa apertura delle frontiere ha sul mercato del lavoro (fenomeni di dumping salariale). Gli svizzeri, tedeschi in particolare, non tollerano che la classe politica arricci il naso di fronte alla volontà popolare espressa nelle (numerose) votazioni federali. Se hanno l’impressione che si faccia «melina» intorno all’applicazione di un voto come quello del 9 febbraio 2014 «contro l’immigrazione di massa», è probabile che vadano a rafforzare, a livello elettorale, i partiti che si mostrano inflessibili in proposito.
E così è stato. L’Udc (e, nel Canton Ticino, la Lega) ha capitalizzato non solo questa sua inflessibilità ma anche una temperie internazionale che durante gli ultimi mesi ha portato drammaticamente al centro dell’attenzione la questione dei flussi migratori e lo sbaraglio dell’Europa di fronte alle «invasioni» di profughi dall’Africa e dal Medio Oriente. Insomma, gli elettori elvetici hanno ragionato a un dipresso così: «se questa Europa pasticciona vuole insegnarci come ci si comporta con i migranti, sosteniamo chi si batte per tenerci lontani da Bruxelles». Ragionamento rozzo e semplicistico? Abbastanza, ma le cose al momento funzionano così, anche se di fronte ai grandi flussi migratori, inevitabili, la reazione di arroccamento a difesa del proprio «giardino» (per quanto bello e ottenuto a prezzo di fatica, ingegno e lavoro) ha ormai il fiato corto.
Ma se sono queste le cause del «terremoto» elettorale che ha portato i nazionalisti dell’Udc a dominare sempre più incontrastati la scena politica federale (e sarà difficile, a questo punto, negare al partito di maggioranza relativa il raddoppio della propria rappresentanza nel Governo nazionale di 7 membri: oggi 2 socialisti, 2 liberali, un Udc, un democristiano, un borghese democratico, partito, quest’ultimo, al 4,1%), le conseguenze si faranno sentire, a breve scadenza, su altre questioni.
Pensiamo al grande cantiere della riforma pensionistica; pensiamo alle questioni fiscali (difesa del segreto bancario per i clienti residenti in Svizzera, ad esempio; con i clienti di altri Stati è ormai un… ricordo); pensiamo soprattutto alla «svolta energetica» e all’uscita dal nucleare: oltre alla crescita del centrodestra, il concomitante tracollo dei partiti ambientalisti contribuirà certamente a riportare questo dossier al centro della politica federale, secondo parametri più realistici rispetto a quelli del progetto «energia 2050», che prevede la rapida chiusura delle centrali atomiche svizzere per favorire e sussidiare lo sviluppo delle energie alternative. Se dunque gli svizzeri hanno votato «di pancia», un po’ ossessionati delle «invasioni barbariche», le conseguenze, non necessariamente negative, si faranno ora sentire, soprattutto, su temi di altra natura.