Venerdì scorso Zapatero si è visto forzato a mollare la presa. Dopo più di un anno di agonia politica, in cui non ha smesso di ripetere che avrebbe finito la legislatura adducendo come ragione il bisogno di “infondere fiducia politica ed economica”, il Premier spagnolo ha comunicato che si andrà alle elezioni politiche in Spagna il 20 novembre.
Zapatero si è dovuto piegare a due tipi di pressioni:
1 – Quelle esterne, di carattere fondamentalmente finanziario. Il primo mandato dei socialisti (2004-2008) fu comodo dal punto di vista economico. Il Psoe (Partito socialista operaio spagnolo) si trovò tra le mani una Spagna, quella lasciatagli da 8 anni di governo Aznar, che cresceva del 3,1%, con un tasso di disoccupazione dell’11 % – il più basso della sua storia – e con un deficit pubblico dello 0,3 %.
È ancora viva nella memoria di tanti la Spagna di quel periodo, ben rappresentata dalla copertina del Times (Spain rock’s, s’intitolava il settimanale) di marzo 2004, poco prima degli attentati di Atocha, in cui si parlava di un Paese che avrebbe a breve superato l’Italia. Poi vennero la crisi internazionale – acuita a livello nazionale dalla speculazione immobiliare permessa anche dal silenzio complice dei Popolari – e la pessima gestione a livello politico da parte del governo Zapatero.
Nel 2011 la Spagna si trova ad avere più di 5 milioni di disoccupati (oltre il 20% della popolazione attiva e circa il 40 % dei giovani) e un deficit pubblico superiore al 10% del suo Pil. Nel maggio 2010, Zapatero annunciò finalmente delle misure (imposte dall’Europa) contro una crisi che aveva voluto, prima, mascherare e poi relativizzare. Si passò quindi dal milagro español, a far parte dei Piigs in poco più di tre anni.
Poche ore prima dell’annuncio delle elezioni, una nuova minaccia di Moody’s ha sconvolto i mercati spagnoli: la Spagna potrebbe essere degradata – per la terza volta in un anno – e situarsi nel gruppo Aa3, sempre più lontana dalla tripla A di un anno fa. La forte caduta della borsa di Madrid e un premio di rischio che sfiora i 400 punti hanno forzato l’anticipo elettorale, com’è stato riconosciuto venerdì scorso dal ministro dell’Economia, Elena Salgado.
2 – Non sono state soltanto ragioni esterne ad aver portato Zapatero, per la prima volta dalla morte di Franco, ad anticipare le elezioni politiche. Le pressioni ricevute all’interno del proprio partito dal capo del governo, relegato a un secondo piano nello scenario politico da ormai più di un anno, hanno avuto un peso decisivo. Zapatero avrebbe voluto, mettendo a grave rischio la Spagna, portare a compimento il suo mandato, ma il calcolo politico non ha rispettato il suo wonderworld.
La pressione fatta da Alfredo Pérez Rubalcaba, mano destra del premier negli ultimi quattro anni e, da maggio, nuovo candidato (senza primarie) socialista, ha avuto il suo effetto. Anche se Rubalcaba ha sottolineato parecchie volte di non essere stato lui a chiedere tale anticipo, la realtà sembra essere ben diversa.
Nonostante l’“effetto Rubalcaba”, i sondaggi, – eccetto quelli ufficiali del Cis (Centro di indagini sociologiche) – continuavano a collocare i socialisti spagnoli, dopo la débacle elettorale delle amministrative dello scorso 22 maggio, a circa 13 punti di distanza dal Partito popolare (Pp) di Mariano Rajoy. Rubalcaba, cosciente dell’impasse in cui si trova il governo e dell’inevitabile peggioramento economico e politico cui condurrebbe l’allungamento dell’agonia per altri sette mesi, ha bisogno di questo tempo per rifarsi un’immagine e svincolarsi da un progetto, quello del zapaterismo, del quale lui stesso è stato parte visto il suo impegno come vicepresidente, ministro dell’Interno e portavoce.
Quale scenario ci aspetta prima delle elezioni? Rubalcaba, il candidato socialista, è una vecchia volpe del partito. Ministro nei governi di sinistra dei primi anni Novanta e uomo forte della fine del zapaterismo, vuole presentarsi adesso agli elettori come l’artefice di una nuova sinistra. La sua strategia elettorale è indirizzata a strappare ai Popolari i voti dei settori più colpiti dalla crisi: giovani e una certa classe media.
Nelle sue ultime dichiarazioni da candidato ha detto di avere delle idee per uscire dalla crisi e ha moltiplicato le allusioni al movimento degli indignados e gli attacchi ai banchieri “che ci hanno buttato dentro a una crisi che non era la nostra”. Paradossale, se pensiamo che lo stesso che oggi è candidato e dice di avere la ricetta per uscire dalla crisi, era ieri l’uomo forte di un governo che, per più di tre anni, non è stato in grado di farle fronte. Il suo lato più scuro: una fortissima carica ideologica della quale la Spagna non ha assolutamente bisogno e alcuni affari poco chiari tra cui l’avere usato politicamente contro il Partito popolare gli attentati di Atocha e la sua mancanza di trasparenza nelle inchieste sulle responsabilità di tali attentati. Di recente, l’accusa contro alcuni membri del suo ministero e della polizia di aver facilitato informazioni confidenziali ai terroristi dell’Eta a fine politico.
Il periodo da qui a novembre sarà per lui una corsa contro il tempo. In soli quattro mesi Rubalcaba dovrà riuscire a crearsi una nuova immagine svincolandosi da Zapatero e a lenire una sconfitta che sembra inevitabile cercando di rubare la maggioranza assoluta ai Popolari.
Mariano Rajoy, candidato popolare, ha anch’egli un lungo percorso politico. Ministro con Aznar, è stato lui a mettere la faccia nell’impegnativa opposizione negli anni di Zapatero. Nonostante l’accusa di mancanza di carisma politico, è riuscito a dispetto delle due sconfitte nelle elezioni politiche (2004 e 2008) a consolidarsi come leader dei Popolari, grazie anche alla vittoria nelle amministrative nel maggio scorso.
I prossimi mesi fino alle elezioni saranno, prevedibilmente, di duro confronto politico. Nonostante Rubalcaba abbia dichiarato di volere una campagna senza confronto, né scontri all’arma bianca, non è difficile ipotizzare che il candidato socialista cerchi di indirizzare il malcontento degli indignados contro il Pp, tentando di identificare i popolari con “i banchieri e i mercati”, esonerando così il suo partito da ogni responsabilità.
Il vincitore di queste elezioni si troverà una Spagna in difficoltà: seriamente provata a livello economico e non meno stanca e divisa a livello sociale. Per affrontare il danno economico bisognerà abbandonare le posizioni ideologiche e accettare di stringere la cinghia intraprendendo finalmente una riforma del mercato del lavoro, incoraggiando l’iniziativa imprenditoriale e cercando di ridare fiducia ai mercati mediante un piano di riduzione del deficit pubblico. Difficile ma possibile per un governo che non sia schiavo degli schemi del socialismo sorridente.
Più faticoso sarà, invece, sanare le ferite provocate da otto anni di scontro sociale, promosso e aizzato dal governo Zapatero. Due legislature in cui si sono riaperte le ferite della Guerra civile spagnola che erano state chiuse dalla volontà di perdono degli spagnoli trent’anni fa; in cui si è fatta della Spagna la nave ammiraglia della “dittatura dei desideri” con la legalizzazione dell’aborto e del matrimonio omosessuale; in cui si è voluta comprare la pace nei Paesi Baschi al prezzo di legalizzare Bildu, il braccio politico dei terroristi; in cui i voti della Spagna nelle classifiche internazionali in materia di educazione sono discesi fino a livelli allarmanti…
Da parte di chi assumerà il potere ci vorrà un cambiamento politico che affronti la crisi economica, ma ci vorranno anche, e soprattutto, politiche meno ideologiche e stataliste che permettano di educare chi ha ancora il desiderio di farlo e valorizzino le realtà – imprese e opere sociali – che hanno ancora voglia e intelligenza di costruire.