«Se non ci diamo una regolata tutti e cominciamo a ragionare e comprendere che dietro le cifre economiche esistono le persone non so dove andremo a finire». Gaetano Troina, docente di Economia aziendale nell’Università di Roma Tre, intervistato da Ilsussidiario.net in riferimento al caso Cipro che ha travolto l’Eurozona si dice preoccupato dagli scenari che potrebbero aprirsi in futuro. Il piano di salvataggio da 10 miliardi, concordato con l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, prevede un prelievo un’imposta sui depositi bancari che arriva al 6,7% per quelli sotto i 100.000 euro mentre per quelli di importo superiore tocca il 9,9%. A farne le spese, sottolineano i giornali di tutta Europa, sarebbe la solidarietà tra i paesi e la libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione.
Secondo lei, l’accordo è basato su un ricatto da parte dell’Unione europea?
È un’ideologia economica sovrastante che non tiene conto degli elementi essenziali. Decide e fa. Questo è valso per la Grecia e ora è toccato a Cipro. La mia preoccupazione è che il Mediterraneo sia oggetto di una sorta di indifferenza. Certo, la Grecia aveva presentato bilanci falsati e questo non una cosa positiva. Il vero problema ora è la povera gente.
Dov’è finita la solidarietà tra stati?
La solidarietà non ci può essere quando il principio diventa il proprio tornaconto personale. Non voglio giustificare certi atteggiamenti che i paesi della parte mediterranea hanno, vedi Spagna e Italia, ma è evidente che si cerca di fare i furbi. In Italia il nostro disinteresse a controllare il debito pensando che tutto sommato si poteva passarci sopra è sotto gli occhi di tutti. Fino a quando il centro e il nord Europa non si rendono conto che la solidarietà non è un principio astratto ma è un principio per il quale se oggi casco io, domani cadrai anche tu, la situazione non può che peggiorare. La solidarietà è stata fatta a pezzetti, dimenticata.
Perché?
L’ideologia economica, quella deleteria del profitto a ogni costo, ha preso il potere. L’Unione europea non si può mantenere su un concetto di divisione, l’unione prevede delle rinunce da parte di tutti, degli sforzi da parte di chi è più debole. Ma se tutto questo non avviene i piccoli fanno i furbi e i grandi usano la violenza e il risultato è un’Europa dei 9 a cui De Gasperi e tutti i suoi coetanei avevano creduto, ma che noi stiamo rimettendo in discussione.
Siamo arrivati a un punto di non ritorno?
Mi auguro di no. Per essere più precisi e fare ipotesi sul futuro sto aspettando le elezioni tedesche.
Perché?
Perché la Cancelliera tedesca opera in funzione delle elezioni, non prenderebbe, secondo me, nessuna decisione che venisse meno al suo elettorato. È un’analisi, una sensazione tutta mia. Certo l’elettorato tedesco avrà una sensibilità a dare una risposta diversa? Non lo so. Se guardiamo le nostre ultime elezioni noi siamo stati incapaci di dare una svolta.
Quindi, secondo lei anche l’Italia come paese del Mediterraneo sta rischiando?
Certo siamo tutti poveri, i più poveri. Non c’è dubbio. Sia per colpe nostre sia perché solidarietà e aiuto non ci sono.
In questa situazione dove tutti tendono a mantenere quel poco che hanno, non rischiando più investimenti, anche per la mancanza di fiducia, come si può ripartire?
Il problema è che ogni Paese deve cominciare a ripartire da sé. Ma paesi come il nostro sono condizionati dagli investimenti per la nuova crescita perché le condizioni europee ci impongono certe posizioni non confacenti a una ripresa. Bisognerebbe rivedere tutta la politica economica dell’Europa tenendo conto delle varie situazioni.
In che senso?
Non si può avere una politica etichettata, standardizzata per ogni situazione e ogni tempo, bisogna averla elastica e scorrevole. Elastica nei confronti dei territori, perché i territori sono fatti di persone. Scorrevole perché ci dobbiamo adattare di volta in volta in base alle congiunture. Non può andar bene una situazione congiunturale che si è pensata cinque anni fa quando non c’era la crisi che ci è piovuta addosso dagli investitori americani, adesso dobbiamo avere un’elasticità diversa, non ci smuoviamo di lì. Siamo rigidi. Nè elastici, né scorrevoli.
(Elena Pescucci)