Inferno in piazza Tahrir: tre giorni consecutivi, con piccole pause, di incidenti e scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Il bilancio del tutto provvisorio parla di almeno quaranta morti e oltre duemila feriti. La gente chiede addirittura bare perché non sanno come fare a portare via le vittime Incidenti scoppiati all’inizio del weekend e che stanno proseguendo, dopo una sosta notturna e tentativi di mediazione da parte dell’imam della moschea che si affaccia sulla piazza. Una manifestazione inizialmente convocata dai Fratelli musulmani, ma che adesso vede la partecipazione anche delle altre forze politiche: ben 35 rappresentanti di partiti e movimenti infatti si sono recati sul posto per fare da scudi umani tra manifestanti e polizia. Il governo militare attualmente in carica in Egitto ha fatto sapere tramite i suoi portavoce che le elezioni del prossimo 28 novembre non sono in discussione, ma evidentemente la popolazione non si fida. Il ministro della cultura, Imad Abou Ghazi, ha dato le dimissioni dal governo per protestare contro la reazione militare. Mohamed Badei, guida generale dei Fratelli musulmani ha convocato un vertice di emergenza. La situazione è in continua evoluzione. “Si tratta degli stessi militari che detenevano il potere sotto Mubarak” ha detto Robi Ronza, giornalista esperto di politica internazionale contattato da IlSussidiario.net “non è cambiato nulla in Egitto. La gente evidentemente se n’è resa conto”.
Ronza, i militari continuano a dire che le elezioni del prossimo 28 novembre si terranno: cosa sta succedendo esattamente in Egitto? Perché queste manifestazioni?
Quello che al potere è esattamente lo stesso regime che c’era sotto a Mubarak, che di fatto era un vecchio generale. Lo hanno messo da parte, ma nella sostanza non è cambiato nulla. Bisogna tenere conto che l’esercito in Egitto significa una forza enorme, non solo militare, ma anche economica.
In che senso è una forza economica?
C’è tutto un sistema di fabbriche che forma un complesso economico che fa delle forze armate egiziane allo stesso tempo una macchina militare e una macchina economica. E’ un sistema di potere molto completo: le fabbriche militari son la principale realtà industriale dell’Egitto, la maggior fonte di sostegno dopo il Canale di Suez.
Si può dunque dire che la popolazione ha capito che esiste una continuità fra il regime di Mubarak e l’attuale e non si fida?
Certamente, sono consapevoli che anche con delle elezioni non si arriverà a un cambio di regime, infatti chiedono proprio che i militari si facciano da parte. Non hanno fiducia che con le elezioni si possano aprire degli spazi di libertà effettiva.
C’è chi dice che gli americani, già ai tempi di Mubarak, ma anche adesso, abbiano uno stretto legame con le forze militari egiziane.
Bisogna tenere conto che tutti gli alti ufficiali egiziani si sono formati nelle accademie militari americane. I generali egiziani e quelli americani sono spesso ex compagni di corso, amici di lunga data. Poi bisogna tenere conto che le forze armate in tutto il mondo, specie in certi settori come quelli di alta tecnologia, ad esempio le forze aeree, costituiscono una sorta di internazionale dell’alleanza. Dunque è molto verosimile ci siano legami e sostegno da parte dei militari americani e anche questo deve essere stato capito dalla popolazione, capito cioè che questi legami hanno il loro peso nel nuovo Egitto del dopo Mubarak.
Qual è il peso delle organizzazioni islamiche più radicali nelle manifestazioni? In vista delle prossime elezioni, si può già capire chi otterrà il maggior numero di consensi?
Sicuramente i Fratelli musulmani che sono nati proprio in Egitto. Sono una forza che è stata capace di mostrare una grande flessibilità, ma hanno un radicamento nelle masse popolari che non ha nessuna altra forza. Ecco perché la sfida che si gioca è una sola: che forze autenticamente democratiche riescano a prendere la maggioranza, o che ottengano risultati tali da indurre le altre forze a tenere conto della loro presenza.
Altrimenti?
Non giocare la carta della democrazia porterà soltanto a bagni di sangue paragonabili a quelli che ha subito l’Algeria. Bisogna sempre ricordare che l’Egitto significa metà del mondo arabo, in termini demografici, ma anche in termini culturali: è il cuore del mondo arabo. Lo sforzo da fare da parte occidentale è sostenere la democrazia tendo conto che le forze democratiche devono essere capaci di un radicamento popolare.
L’Europa fino a oggi nei confronti della cosiddetta primavera araba sembra sia riuscita solo a fare bombardamenti.
Infatti. Ci sarebbe da interrogarsi su questo, e soprattutto l’Italia dovrebbe farlo. Siamo l’unico Paese del G8 interamente bagnato dal Mediterraneo; abbiamo strettissimi rapporti economici con l’Egitto. Bisogna instaurare una politica mediterranea di sincero aiuto verso questi Paesi del Nord Africa, che sia di aiuto alla loro crescita civile. Senza giocare la carta militare non solo perché non ci appartiene, ma non funziona neanche. E’ una situazione aperta, di cui si devono accettare le sfide. La soluzione non può essere una via di forza.
Non è una sfida facile.
Certo che no, le transizioni da un regime all’altro sono sempre difficili e facilmente si sparge del sangue. Anche perché come stiamo vedendo in Egitto non esistono forze dell’ordine adeguate a fronteggiare delle pacifiche manifestazioni, Si usano le forze armate militari ai fini di ordine pubblico: questi sparano e basta.