La notizia viene dal South China Morning Post e potrebbe sancire un’accelerazione drammatica degli eventi. Il quotidiano di Hong Kong riporta infatti che fonti strategiche e di intelligence cinesi esortano la Cina a “stare pronta”, perché la guerra nella penisola coreana è “possibile in ogni momento”. “I legami speciali con Pechino del South China Morning Post vanno presi molto sul serio — spiega Francesco Sisci, editorialista di Asia Times e docente nella Renmin University of China — e a Pyongyang lo sanno”.
Perché il segnale politico questa volta è così grave?
L’avvertimento del SCMP è inequivocabile. Tutti, ma Pechino soprattutto, vedono che la partita è un nodo gordiano che si stringe sempre di più e che più passa il tempo, meno ha probabilità di essere sbrogliato. E la tentazione, stavolta, potrebbe essere quella di tagliarlo.
Vuol dire guerra?
Si può leggere come un semaforo verde ad una guerra circoscritta. L’articolo contiene due informazioni. E’ un monito severo alla Nord Corea ma contiene anche una valutazione oggettiva: la Cina si prepara. E’ come se la Cina dicesse a Kim: il gioco è finito, non sperare di cavartela.
Perché adesso?
Perché la situazione appare bloccata, ma verso il peggio. Il dossier nordcoreano, come ripetiamo da tempo, è fatto di veti incrociati. Evidentemente oggi i rischi a Pechino vengono giudicati insostenibili. E ora la Cina considera la guerra nella penisola coreana un’opzione possibile.
Parliamo di un attacco cinese?
No. La Cina non vuole la guerra, ma se questa deve esserci, dice Pechino, dev’essere limitata. Però mai come ora la guerra, una guerra circoscritta per evitare guai maggiori, è un’ipotesi della realtà. Pechino non pone veti a che questo avvenga e mette in guardia Kim Jong-un.
Chi sono gli altri destinatari del messaggio? La Russia?
La Russia, ma non solo. Tutto si sta muovendo. Oggi (ieri, ndr) il Giappone ha annunciato una partnership militare con la Gran Bretagna. Vuol dire che gli Stati Uniti stanno coinvolgendo anche i loro partner europei in un’alleanza militare in Asia.
Sappiamo che venerdì scorso c’è stato un colloquio telefonico fra Trump e Putin in cui si è parlato soprattutto di Nord Corea e nel quale il presidente americano ha sollecitato la Russia a fare di più. Come spiega questa mossa da parte americana?
Come ha detto giustamente Luttwak, finora la Russia è rimasta in un cono d’ombra, pur essendo implicata nella partita. Molte tecnologie sono arrivate in Nord Corea non solo dalla Cina, ma anche dalla Russia, e attraverso Cina e Russia la Nord Corea ha intessuto traffici con altri paesi del mondo, dall’Iran al Mozambico. Per bloccare Pyongyang occorre anche la Russia e Trump lo ha capito. Oggi Mosca gioca allo scoperto.
Ma non può farlo solo con gli Stati Uniti. E’ questo a preoccupare la Cina?
Quello tra Washington e Mosca è un feeling che la Cina vede bene, perché alleggerisce le sue responsabilità nel dossier nordcoreano. Pechino però non può permettersi che le nuove relazioni tra Putin e Trump possano dare luogo a un’esclusione, per non dire un accerchiamento, ai danni della Cina.
Siamo di fronte ad un nuovo riassetto del potere mondiale?
Il quadro non è certamente completo anche se con la mossa della Cina registra un nuovo, delicatissimo sviluppo. Washington ora ha due fronti aperti con Mosca: Ucraina e Medio oriente. Un accomodamento sulla Nord Corea significa concessioni americane alla Russia su Medio oriente e Ucraina? Verrebbe da pensare di sì, se guardiamo il successo della Russia in Siria e il ritiro strategico degli Usa in Israele. E’ anche possibile, a voler pensare male, che la Russia abbia in passato favorito Pyongyang per avere una moneta di scambio al momento opportuno.
E ieri la Cina ha consegnato la Nord Corea su un piatto d’argento. Come reagirà Kim Jong-un?
Questo è il pericolo vero. Non aspetterà che gli altri si accordino contro di lui, anche se stavolta è più solo di prima.
(Federico Ferraù)