Uno dei punti principali della politica interna ed estera del Governo di Roma per il 2017 è sicuramente la crisi dei migranti: considerate le cifre raggiunte nel 2016 è difficile che il sistema di accoglienza sia sostenibile anche nei prossimi anni.
E’ fuori di dubbio che con l’aggravarsi della crisi libica si è avuto un incremento degli sbarchi sulle coste italiane; di conseguenza le politiche dedicate al fenomeno migratorio si sono concentrate, soprattutto con il Governo Gentiloni, sul tentativo di arginare per quanto possibile le partenze a monte. Va collocata in questo contesto la discesa del ministro degli Interni Marco Minniti a Tripoli di qualche settimana fa.
È bene ricordare che il traffico di esseri umani, portato avanti da reti criminali ben ramificate nel sud della Libia, non solo incide sulla vita quotidiana delle popolazioni autoctone ma mina alla base la sicurezza regionale e i potenziali investimenti.
Pertanto ridurre la nuova tratta dalla Libia (verso la quale convergono altri flussi migratori) è uno degli aspetti più importanti della politica italiana nel Paese e per questo motivo la proposta del Governo di Roma ha trovato il plauso di diversi organismi internazionali ed europei.
Oltre agli investimenti economici volti a sviluppare il tessuto sociale nel sud della Libia, l’Italia, attraverso la partecipata di Stato Eni, intende erogare oltre 9 miliardi per supportare la crescita economica della regione.
Il sud libico risulta, allo stato attuale, un nerbo scoperto per la sicurezza del paese che influenza negativamente anche i confini vicini. È da questa regione che si pianificano i principali traffici illeciti che poi vengono dirottati verso le acque del Mediterraneo, migranti compresi.
Non potendo autorizzare una missione di controllo del territorio, che fisicamente non viene controllato né dall’esercito libico né da quello di Haftar e men che meno dalle tribù locali, Roma ha deciso di intraprendere la strada dell’ausilio tattico al governo Serraj.
Tale ausilio alle truppe regolari non sfocerà in un controllo bilaterale delle coste libiche, come già sostenuto a più riprese dallo stesso presidente Serraj, ma si limiterà a fornire supporto in caso di necessità e know-how specialistici.
Fino a qualche tempo fa parlare di blocco navale nel Mediterraneo sembrava possibile solo con un governo regolare in Libia; ma il governo di Tripoli, a quasi un anno dal suo insediamento, dimostra tutta la sua fragilità, non avendo ottenuto il controllo territoriale necessario per garantire la sicurezza dei suoi confini.
Nelle ultime settimane, su proposta italiana, l’ipotesi di un pattugliamento costante sta prendendo corpo, tanto che esiste una bozza, denominata “Piano B”, che sarà illustrata al summit di Malta il 3 febbraio prossimo. Attraverso una “line of protection”, ovvero un blocco navale in senso stretto, i trafficanti non potranno lasciare le acque territoriali libiche.
Formalmente il ruolo di leader sarebbe del governo libico (l’idea originaria prevedeva un pattugliamento nelle acque libiche misto tra Marina militare libica e supporto europeo), ma nella realtà, sapendo che attualmente Tripoli non dispone degli strumenti necessari per garantire questo programma, la gestione passerà alla Marina militare italiana ed in minima parte a quella maltese.
Fayez al Serraj, nonostante i suoi ripetuti tentativi di non ingerenza, dovrà decidere come orientare la sua politica di collaborazione con l’Ue e l’Italia.
Il programma che il governo italiano intende mettere in campo nel Mediterraneo potrebbe essere il primo vero argine all’ondata migratoria ingente di questi ultimi anni e soprattutto potrebbe diventare il punto di partenza su cui costruire un controllo effettivo del territorio da parte del governo di Tripoli.
L’ingerenza, presunta, delle potenze europee in Libia sicuramente susciterà il malcontento della controparte rappresentata da Khalifa Haftar, il quale però ha già un contratto firmato con i russi per un porto sotto la responsabilità di Mosca in Cirenaica che darebbe a Vladimir Putin un altro sbocco sul Mediterraneo.
Dando per buona la partecipazione italiana nel pattugliamento delle acque territoriali libiche, il dispositivo si muoverà su due fronti: uno marittimo e l’altro in terza dimensione. Con il pattugliamento in mare le procedure cambieranno: se ad oggi l’Italia si è fatta carico del salvataggio e dell’accoglienza dei migranti, ora i barconi già in acqua verranno trasferiti in Libia o Tunisia, dopodiché si provvederà a distruggerli. Un progetto ambizioso, tenendo conto che in Libia e Tunisia si dovranno allestire centri di prima accoglienza e che questi centri dovranno essere gestiti non solo sotto un profilo logistico ma anche di sicurezza per evitare forme di radicalizzazione e di sfruttamento.
Tripoli ha già sufficienti problemi a garantire l’incolumità della popolazione nella stessa capitale, per non parlare del piano di ripresa economica che stenta a partire; è prevedibile che a farsi carico di eventuali centri siano l’Italia ed in minima parte l’Unione europea.
Serraj, a riguardo, potrebbe non avere una vera e propria autonomia decisionale. Se fallisce il piano italiano ed europeo per arginare il traffico di migranti, il sud della Libia rischia di essere il primo grande banco di prova per la Russia di Haftar nel Paese, andando a ledere in maniera irreparabile la figura politica dell’attuale presidente.
Una seconda operazione prevede l’impiego di droni dell’Aeronautica militare, che potranno fornire informazioni ai reparti speciali presenti in loco, presumibilmente anche in questo caso italiani, per interventi sulle coste libiche o nel vicino entroterra. Il pattugliamento con i droni è uno dei punti discussi con il ministro Minniti dallo stesso Serraj. Il comando di questi interventi, soprattutto quelli marittimi, dovrebbe dipendere da una struttura creata ad hoc e prevedere una catena di comando mista coinvolgendo tutti gli attori in campo.
All’Italia, salvo modifiche dell’ultima ora, dovrà essere affidata una grossa fetta della gestione fisica del comando anche se formalmente il tutto sarà diretto dalla Libia e dalle sue embrionali forze armate. Per quanto riguarda i costi, si stima che circa metà della missione sarà pagata dall’Ue; il resto dovrebbe essere diviso tra le varie forze in campo.
L’Italia potrebbe seguire la strada della rimodulazione interna alle sue Forze armate diminuendo l’impiego nell’operazione Mare Nostrum (possibilmente delegandola ad altri Paesi) e concentrandosi sul pattugliamento delle coste libiche.