Si dice che i presidenti degli Stati Uniti siano soliti iniziare il loro periodo di presidenza occupandosi soprattutto di questioni interne, dato che queste sono al centro delle preoccupazioni della maggioranza degli elettori americani, ma prima o poi preferiscano dedicarsi alla politica internazionale, dove si respira un’aria politicamente meno rovente.
A questo riguardo, i viaggi all’estero danno più soddisfazione che l’occuparsi della politica interna. Immagino che sia un po’ troppo presto perché il presidente Obama cominci a pensarla in questo modo, tuttavia, nel suo viaggio di ritorno a bordo dell’Air Force One, sarà meglio che cominci a rendersi conto che si troverà di fronte un uditorio molto più difficile di quello che ha trovato in Europa, dove è piaciuto, in linea di massima, a quasi tutti i suoi interlocutori.
Il Pew Research Center ha appena pubblicato i risultati di una indagine che indica in Obama il presidente più capace di creare divisioni della storia moderna, e ciò in neppure cento giorni dal suo insediamento. Secondo l’indagine di Pew, a metà marzo l’operato di Obama era approvato dal 59% degli intervistati, considerando l’intera nazione. Tra i Democratici, la percentuale di gradimento saliva all’88%, tra i Repubblicani crollava al 27%, mentre il 57% degli indipendenti approvava il modo in cui aveva finora svolto il suo lavoro.
Ciò significa, tra le opinioni dei fautori dei due partiti, un divario di 61 punti percentuali. Considerando un lasso di tempo equivalente, il divario per gli ultimi presidenti è stato: 51 punti per George W. Bush, 45 per Bill Clinton, 38 per George W. H. Bush, 46 per Ronald Reagan, 25 per Jimmy Carter e 29 per Richard Nixon.
Questo crescente divario nel gradimento dei presidenti riflette un crescente divario culturale che si sta verificando nel paese. Le reazioni a Obama vanno al di là delle differenze di posizione politica. Molti di coloro che gli sono favorevoli, o contrari, stanno cercando di difendere convinzioni fondamentali per la propria vita. Chi è motivato politicamente sta ricavando un vantaggio da questa divisione.
Si prenda in considerazione la sua osservazione sull’Islam in Turchia, quando ha detto ai parlamentari turchi che gli Stati Uniti non sono una “nazione cristiana”. Sì, lui ha insistito sul fatto che non vi è né una nazione ebrea, né una nazione chiaramente islamica, ma nessuno ha mai affermato questo. Molti, invece, credono fermamente che gli Stati Uniti siano realmente una nazione cristiana e l’affermazione del presidente Obama è sentita come una minaccia all’identità di questo paese. Chi si oppone a Obama per ragioni politiche approfitta di questa paura per dipingere Obama come un nemico della fede cristiana, mentre i politici dell’altra parte insistono sulla necessità di sostenerlo per evitare al paese il pericolo di una deriva fondamentalista.
Una parte presenta Obama come la versione americana dei leader europei che rifiutano l’origine giudeo-cristiana dei valori caratterizzanti la civiltà occidentale, mentre l’altra parte lo raffigura come il difensore della libertà religiosa. Il presidente Obama, dal canto suo, sembra voler porsi in qualche modo al disopra di questo scontro, trascendendo la dialettica, per così dire. Questo, però, lo pone al livello dei politici, a meno che prima o poi si decida a prendere posizione e a dire dove sta e perché.