Torna improvvisamente e drammaticamente alla ribalta la Libia, mentre il terrorismo è sbarcato di nuovo negli Stati Uniti. La situazione di instabilità internazionale, a qualsiasi livello, sembra ormai endemica. Con un’azione, a quanto pare, ben studiata e ben preparata, ieri mattina sono stati rapiti due italiani, Bruno Cacace di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) e Danilo Calonego di Sedico (Belluno) nel sud della Libia a pochi chilometri dal confine con l’Algeria. Con loro è stato rapito anche un canadese e, in un primo tempo, anche l’autista di una macchina che poi sarebbe stato rilasciato. L’azione non è ancora ben chiara.
I tre sono lavoratori della Con.I.Cos, una società italiana di manutenzione all’aeroporto di Ghat, proprio nel sud della Libia, nel Fezzan, praticamente al confine con l’Algeria. Gli autori dell’azione erano, secondo alcuni fonti, mascherati al momento del sequestro e avrebbero fermato una macchina che portava alcuni lavoratori stranieri. Ma finora i dettagli dell’operazione, lo ripetiamo, sono molto incerti. E al momento, la situazione, che viene giudicata delicatissima, non è stata chiarita da fonti italiane, ma da fonti libiche in modo molto approssimativo.
Si può solamente ricordare che quella zona di Libia dovrebbe essere in teoria controllata da uno dei governi che si contendono la leadership del paese. Ma c’è chi fa notare che nel Fezzan agiscono sia reparti francesi con truppe speciali, sia bande isolate, alcune di chiara ispirazione salafita e altre che si muovono probabilmente solo per ottenere riscatti o magari “rivendere” ostaggi al miglior offerente per motivi politici.
In sostanza, da questo contesto emerge lo sfondo vero di questa operazione: è la reale situazione della Libia che, di fatto, dopo mesi e diversi interventi di organismi internazionali, sembra una sorta di “territorio di nessuno” dove ci si può muovere e colpire in modo indisturbato.
Ufficialmente si sa che in Cirenaica c’è il generale Kalifa Haftar, con dietro Francia, Egitto e anche Russia. Ma nel gran calderone c’è poi la figura di Fayez al Serraj, che dovrebbe garantire la Tripolitania e ufficialmente è il primo ministro del governo di accordo nazionale della Libia.
Difficile quindi muoversi in una realtà tanto confusa, che sembra quasi non interessare gli Stati dell’occidente per un controllo migliore, una stabilizzazione della situazione. Ci si orizzonta quindi sul terreno scivoloso delle ipotesi. Nel Fezzan ad esempio ci sono giacimenti petroliferi rilevanti, che interessano i francesi, ma che potrebbero interessare anche l’Isis, in difficoltà a Sirte, ma nel corso di una partita che non è ancora conclusa.
Il problema di fondo appare sempre il nodo delle alleanze dei Paesi che giocano il ruolo dei presunti “tutori”. Anche in questa situazione libica, come in altre parti del Medio oriente e nella generale instabilità tribale del dopo “primavere arabe”, c’è un contenzioso aperto tra la Russia che pende dalla parte di Kalifa Haftar e gli Stati Uniti che si sono schierati invece con il presidente di Tripoli.
Un gioco dannoso a tutti e dove si possono inserire bande di rapitori, ma ovviamente anche protagonisti della “guerra santa” condotta dallo stato islamico.
Possiamo realisticamente dire che al momento è difficile ipotizzare la matrice di questo sequestro. I rapimenti a scopo di estorsione per ottenere riscatti in denaro, o addirittura in beni come fuoristrada e scorte di cibo, non sono affatto infrequenti e fanno parte della tradizione delle tribù locali, tra cui una forte presenza di tuareg, che commerciano lungo la grande rotta carovaniera che un tempo era la “via del sale”, che arrivava fino a Timbuktu nel Mali.
Il problema inquietante, per cui della vicenda, oltre al ministro degli Esteri italiano si sta occupando direttamente anche il presidente del Consiglio, Renzi, consiste soprattutto in una coincidenza temporale con l'”operazione Ippocrate”, lo schieramento di un ospedale militare italiano a Misurata, presidiato da cento uomini della “Folgore”, che proteggono i feriti che combattono contro l’Isis a Sirte.
Questa potrebbe essere una valutazione di carattere politico. Ma ogni valutazione nella Libia di oggi, dove regna soprattutto il caos, può avere solo il valore di un’ipotesi.