Si calcola che dall’inizio della guerra in Iraq la metà del milione e mezzo di cristiani residenti nel Paese sia fuggita per sottrarsi alle violenze di matrice islamica. I numeri parlano chiaro, essi costituiscono un bersaglio privilegiato e sono sicuramente più vulnerabili rispetto a tutte le altre minoranze in Medio Oriente.
Arrivano anche in occidente le marce silenziose dei cristiani iracheni che chiedono giustizia per la persecuzione di cui sono vittime nella loro patria. Mentre tutti i giorni nei villaggi della Piana di Niniveh si continua a chiedere la verità sull’uccisione dell’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Faraj Rahho, anche in Olanda, in Germania e in Canada gli emigrati iracheni scendono in piazza con striscioni e foto dei loro martiri. Intanto nel Paese dei due fiumi continuano quelli che sembrano veri e propri “omicidi mirati”, voluti per terrorizzare i cristiani e indurli alla fuga. Il 23 marzo, giorno di Pasqua, è morto in ospedale un giovane caldeo, Zahar Oshana, ricoverato dopo essere stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco mentre usciva dalla parrocchia di S. Elia a Baghdad.
Altri esempi sono il rapimento di due sacerdoti cattolici, padre Pius Afas e padre Mazen Ishoa, il 14 ottobre 2007 a Mosul; l’uccisione di due cristiani assiri, Zuhair Youssef Astavo Kermles e Luay Solomon Numan, entrambi membri dell’organizzazione National Union of Bet- Nahrin, avvenuta a Mosul il 28 giugno 2007; l’uccisione di un sacerdote caldeo, padre Ragheed Ganni, e dei tre diaconi che lo assistevano, avvenuta il 3 giugno 2007 a Mosul. Questa è solo una piccola parte di una situazione ormai insostenibile. Questi segnali sconfortanti ci suggeriscono che non c’è più tempo da perdere: l’Europa deve accogliere subito le migliaia di profughi che rischiano la vita in Iraq a causa della sempre crescente discriminazione nei confronti delle minoranze che è in corso in quell’ area. Non sarebbe una novità: la Germania in passato ha già offerto asilo ad esuli provenienti da Paesi martoriati dalla guerra, negli anni ’70, ad esempio durante la guerra del Vietnam, giunsero in Germania migliaia di profughi vietnamiti, mentre negli anni ’90 venne offerto aiuto a molti esuli che fuggivano dalla Bosnia.
Si tratterebbe della prima azione concreta, di una prima traduzione nella realtà della Risoluzione che ho promosso e che è stata approvata il 12 novembre 2007 dal Parlamento europeo. In essa si invitava espressamente la Commissione europea, il Consiglio e gli Stati membri a contribuire ulteriormente al rafforzamento dei diritti umani e dello stato di diritto attraverso gli strumenti di politica estera dell’UE, si chiedeva inoltre di prestare particolare attenzione alla situazione delle comunità religiose, ivi comprese le comunità cristiane, in quei paesi dove sono minacciate, nel momento dell’elaborazione ed implementazione di programmi di cooperazione ed aiuto allo sviluppo con quegli stessi paesi.
Anche le Nazioni Unite hanno sollevato il problema, infatti la relatrice speciale sulla libertà di religione e di credo richiama l’attenzione su situazioni preoccupanti di violazione della libertà di adottare una religione o un credo, di cambiarli o di rinunciare ad essi, oltre a segnalare numerosi casi di discriminazione e violenza tra religioni diverse, di uccisioni e di arresti arbitrari per ragioni legate alla religione o al credo.
Gli strumenti ci sono: adesso è compito dei leader politici e religiosi, a tutti i livelli, combattere l’estremismo e promuovere il rispetto reciproco. Sono contento di non essere solo in questa battaglia, come dimostrano ad esempio i continui appelli del ministro Federale dell’Interno tedesco, Wolfgang Schaeuble.
Sia ben chiaro: l’accoglienza è solo la prima e la più urgente delle azioni che in concreto possono aiutare le minoranze in difficoltà. La nostra storia e i valori che essa ci ha consegnato ci danno una responsabilità enorme ed incessante nei confronti di chi è costretto a convivere quotidianamente con la morte, con la fame e con la povertà, sia esso cristiano o non cristiano. In questo momento nel mondo chi ha più bisogno del nostro contributo sono i cristiani, quindi non si tratta di preferire l’accoglienza dei cristiani in quanto “nostri fratelli”, è un’emergenza impostaci dalla realtà delle cose, dalla terribile prospettiva che le comunità cristiane irachene siano in via di estinzione.