In quest’ultimo periodo a Kiev ci svegliamo ogni mattina con il pensiero di possibili nuove vittime causate dal regime usurpatore. La violenza imposta da questo regime mutante non colpisce solo la vita dei nostri concittadini, ma l’idea stessa di sviluppo pacifico della democrazia nell’Ucraina indipendente (1991-2013). La resistenza al virus della paura è un test fondamentale per la nostra solidarietà.
La strategia d’intimidazione non si limita alle dimostrazioni di violenza dei Berkut (le forze speciali). Vogliono privarci dell’avvenire, a breve e a lungo termine. Cercano di strapparci l’esperienza di libertà fatta dalle ultime due generazioni, cresciute dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, e che ha la sua quintessenza nei giorni e nelle notti di questi due mesi passati a difendere la libertà sul Maidan. Nessun fumogeno può offuscare o distruggere quest’esperienza, è qui che attingiamo il coraggio. Gli ucraini stanno difendendo la società civile e la dignità umana duramente colpite dai regimi autoritari post sovietici. “Per la nostra e la vostra libertà!”: lo slogan dei dissidenti di ieri viene spesso ripreso oggi, insieme agli ucraini, da coraggiosi cittadini della Bielorussia e della Russia. Ma questa lotta non riguarda solo l’Est Europa: è in pericolo tutta la cultura europea e i suoi valori fondamentali.
Il movimento civico di Kiev è la manifestazione più imponente in difesa dei valori europei mai esistita dal momento della fondazione dell’Unione Europea. Quest’idea, formulata da alcuni deputati del parlamento europeo, evoca la possibilità di dare “nuovo respiro” ai valori fondamentali che ispirarono gli autori dell’unificazione europea dopo la seconda guerra mondiale. Le loro motivazioni ideali cominciarono a passare in secondo piano man mano che si dimenticavano gli orrori della guerra e i benefici della pace. Hannah Arendt parla del “tesoro perduto” della Resistenza europea. Ma anche del nuovo giro di vite, della riscoperta e perdita di questo tesoro nell’autunno 1956 a Budapest. E poi è venuta la primavera di Praga nel 1968, e Solidarnosc in Polonia negli anni 80. Più tardi, nel 2004, Vaclav Havel e Lech Walesa hanno parlato, insieme ai partecipanti alla Rivoluzione arancione di Kiev, delle difficoltà insite nel cammino verso la libertà e del rischio di perdere il “tesoro” europeo. Il movimento di insubordinazione civica di Kiev, quest’inverno, è una nuova tappa di questo dramma.
Esiste, tuttavia, una differenza sostanziale rispetto al dicembre 2004. All’inizio del novembre 2013 in Ucraina si era creato un consenso tra il potere, l’opposizione e la società sulla firma di un accordo di associazione con l’Unione Europea. I sondaggi mostravano un sostegno più forte a questo provvedimento nelle regioni occidentali e centrali del paese, e una sua recezione più passiva in quelle orientali. Non si è manifestato alcun movimento “antieuropeo”, nemmeno azioni isolate. Ma l’improvviso rifiuto del governo di firmare l’atto con l’Unione Europea e la brusca svolta in direzione di accordi finanziari ed economici con il Cremlino hanno suscitato manifestazioni pacifiche di protesta a Kiev, in piazza Indipendenza (il Maidan).
Il brutale pestaggio a cui sono stati sottoposti manifestanti e giornalisti il 30 novembre – per la prima volta dal 1991, nell’Ucraina indipendente – è stato una sfida per la nostra società civile. In risposta, il primo dicembre si è radunato mezzo milione di persone per chiedere le dimissioni del governo e del presidente, e la ripresa dei negoziati per l’integrazione europea. Il Maidan nel centro di Kiev si è riempito di tende, infrastrutture, diventando il quartier generale della resistenza all’usurpazione del potere. Si stanno gettando qui le fondamenta della riorganizzazione della società civile. Nell’edificio adiacente, sede dei sindacati, è stata organizzata una grande cucina, in cui lavorano 1500 persone. Anima del gruppo è diventata Liza, una ragazzina disabile, originaria dell’Ucraina dell’Est. In segno di rispetto per la sua energia e il suo coraggio tutto il gruppo della cucina ha deciso di prendere il suo nome. Lì accanto, alcuni medici hanno messo su un ospedale da campo, con illustri specialisti che si alternano di guardia. Da tutta Kiev le gente porta medicine, cibo, abiti. La lista di ciò che serve viene pubblicata sui social network o su siti internet appositamente creati. In tutto il paese si raccolgono offerte. Una serie di noti uomini d’affari delega provvisoriamente la gestione delle proprie imprese e “fa le ferie” sul Maidan. Sulla piazza entrano in funzione l’università, sorgono tende che ospitano i servizi stampa, uffici di traduzione e comunicazione. Reduci dell’Afghanistan gestiscono le unità di autodifesa. I militari costruiscono barricate lungo tutto il perimetro della piazza e delle vie adiacenti. Una grande tenda ospita una cappella ecumenica, per le diverse confessioni: la presenza dei sacerdoti acquista visibilità giorno e notte, soprattutto laddove si rende necessario allentare le tensioni nei faccia a faccia con la milizia. Si intessono una quantità di contatti, gesti inaspettati di solidarietà tra preti e giornalisti che lavorano fianco a fianco nei punti più caldi. Quali che siano le condizioni atmosferiche, giorno e notte c’è divieto di far uso di alcolici. Ma questo non rovina minimamente l’atmosfera festosa che regna. Qui c’è gente che si è riunita da tutta la nazione per protestare contro la tirannia. Per dirla con Hannah Arendt, sono quelli “che hanno lanciato una sfida, che hanno avuto il coraggio di prendere iniziativa e che per questo, senza nemmeno accorgersene, hanno cominciato a creare tra loro uno spazio civile dove la libertà trova il suo posto” (La Crisi della cultura). Lo spirito del Maidan è ben espresso dalla formula di uno dei partecipanti alla Resistenza francese, René Char: “A ogni nostro pasto in comune invitavamo a tavola la libertà. Le lasciavamo un posto libero, con il coperto apparecchiato”.
Per tutti noi è stato un segno importante di solidarietà la pubblicazione di una lettera aperta collettiva, “L’Ukraine est européenne!” su Le Monde del 21 gennaio. Noti intellettuali, studiosi di varie discipline (la raccolta di firme continua), hanno lanciato un prezioso messaggio dalla società francese alla società ucraina.
Un messaggio che esprimeva sinteticamente il senso della pluralità nel contesto europeo: i legami storici e naturali tra Kiev e il suo vicino orientale non significano “un allentamento o una rottura dei legami altrettanto storici e naturali esistenti con l’Europa, la sua cultura e le sue tradizioni”. Al contrario, tale contesto esclude ogni forma di isolazionismo. Purtroppo, la legge del 16 gennaio sugli “agenti stranieri”, che Janukovič ha copiato dalla legge di Putin del luglio 2012, è proprio un tentativo di fondare legalmente l’isolazionismo. Ora anche in Ucraina ogni istituzioni civile che benefici di sovvenzioni dall’estero e si occupi di problemi politici e sociali, verrà dichiarata “agente straniero”. In risposta, un gruppo di difesa dei diritti umani di Char’kiv ha giustamente dichiarato: “Non accetteremo mai che gli organi del potere ci rinchiudano in un ghetto sociale e ci appendano al collo un cartello con la scritta “agente straniero”, come facevano i nazisti gli ebrei, stigmatizzandoli con una stella gialla durante la seconda guerra mondiale”.
Una seduta straordinaria del parlamento ucraino il 28 gennaio ha abrogato questa legge. Ma non possiamo dimenticare le vittime del 21 gennaio, che hanno dato la vita perché fossimo liberati dal ghetto dell’isolazionismo post-impero. Come pure i tanti difensori dei diritti umani arrestati, sulla cui liberazione l’Unione Europea sta insistendo…
Possiamo prevedere uno scenario pessimista, già tratteggiato da alcuni giornalisti: il proseguimento delle repressioni, l’instaurarsi di un regime, proprio sul confine con l’Europa, che ricorda la Corea del Nord. E una fiumana di profughi dall’Ucraina…
C’è anche uno scenario alternativo: il proseguimento della dinamica storica di sviluppo delle strutture di una società civile in Ucraina e il loro decisivo influsso sull’evolversi della democrazia in campo giuridico dopo il superamento della profonda crisi politica.
Per il realizzarsi di questo scenario alternativo oggi abbiamo bisogno di interventi netti da parte dei capi di stato europei. Servono sanzioni analoghe a quelle stabilite dagli USA contro chiunque si renda colpevole di una criminalizzazione del potere nel nostro paese. Le sanzioni contro gli oligarchi devono influire sulla liberalizzazione dei principali canali televisivi di loro proprietà. È ora di smetterla di “lavare il cervello” ai nostri concittadini. È importante il ruolo di mediazione che possono svolgere i leader occidentali nel corso delle delicate negoziazioni tra l’opposizione, il potere e il loro principale interlocutore – la società civile ucraina, che da oltre due mesi si è mobilitata sulle piazze di Kiev e di altre città, da L’viv a Doneck, da Char’kiv a Odessa e alla Crimea. Durante questi lunghissimi mesi di stretta collaborazione tra migliaia di attivisti e centinaia di migliaia di semplici cittadini, la coscienza politica e civica ha registrato una crescita sostanziale. Un esempio di nuove riuscite iniziative sono le decine di auto in fila, il cosiddetto AutoMaidan. A Kiev e dappertutto la gente mette generosamente a disposizione i propri mezzi personali nelle iniziative di protesta, rischiando (parecchie automobili sono già state danneggiate).
Questo non fa che dimostrare una volta di più che la gente non vuole fuggire in Occidente, ma costruire l’Europa in Ucraina. È importante sostenere queste iniziative con campagne di informazione, con il contributo dell’esperienza delle strutture europee, con la partecipazione a progetti culturali, educativi e scientifici comuni. Sarebbe importante riproporre un rinnovato modello di “Parternariato Orientale”, volto a rafforzare e a sviluppare la nostra società civile, e altre iniziative pratiche…
Ora faccio consapevolmente uno sforzo per non sviluppare lo scenario pessimista (sebbene i nostri amici di Minsk e Mosca ci mettano in guardia contro il rischio reale che si avveri e le fobie che possono seguire). Fuori è notte, siamo a -18°, e i nostri figli, i nostri amici sul Maidan proteggono Kiev dai banditi e dal terrore, dalla “fobocrazia”. Ma, essenzialmente, preservano dalla dimenticanza il “tesoro” che è la dignità umana. Sono ormai due mesi che il Maidan resiste, e deve resistere, per poter scrivere la sua pagina nella storia dell’Europa.