Dopo aver parlato di ambiente e nuovi equilibri mondiali i Grandi si sono spostati dalla sede Onu di New York a Pittsburgh, dove il G20 affronta il tema delle regole che servono per rendere più virtuosa la finanza mondiale. O almeno, questo è l’auspicio con cui si sono aperti i lavori. È tempo di un primo bilancio di quanto abbiamo visto e sentito dire nel Palazzo di vetro, dalla risoluzione sulla non proliferazione delle armi nucleari al “change” rivendicato da Obama. Mancano però – dice Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali e editorialista della Stampa – le risposte a molte domande. Il presidente Usa deve dirci come intende raggiungere gli obiettivi sui quali ha ottenuto un così ampio consenso».
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità la risoluzione sul disarmo e la non proliferazione nucleare. Come valuta questo risultato?
È un fatto significativo che il “consiglio di amministrazione” del mondo prenda atto della necessità di fare passi avanti per avere una situazione globale più sicura. È anche singolare che la dichiarazione congiunta venga dagli unici detentori “legittimi” di armi nucleari. C’è da augurarsi che la risoluzione ponga le premesse per obiettivi politici a questo punto più ambiziosi.
Si riferisce all’Iran?
Sì. Stiamo ancora aspettando la formulazione di un’ipotesi concreta per venire a capo del nucleare iraniano: non si sa ancora come impedire agli ayatollah di avere la bomba. Mentre pensiamo ad un futuro libero dall’incubo nucleare – uno spettro che tutto sommato finora è stato gestibile – non sappiamo cosa fare rispetto ad una questione molto più vicina e preoccupante. E che per questo va affrontata al più presto.
Nota una differenza di approccio tra gli Usa e la Francia sull’Iran? Sarkozy vuole scadenze precise per i negoziati, Obama ha nuovamente ammonito Teheran ma è meno propenso a fissare un calendario.
La Francia si muove con molto più realismo, non c’è dubbio, e teme che Obama si limiti ad un atteggiamento declamatorio. Finora Obama non ha ottenuto risultati tangibili in politica estera. È riuscito a costruire un atteggiamento di maggior favore nei confronti degli Stati Uniti da parte di molti: è un risultato importante e non va sminuito. Manca però un’indicazione chiara su come raggiungere gli obiettivi sui quali ha ricevuto un ampio consenso.
La sua è un’accusa di utopismo?
Direi che ci sono aspetti ambivalenti che restano domande aperte. Da un lato, per esempio, il richiamo al multilateralismo è molto importante e rappresenta un ritorno alla tradizione americana. Dall’altro continuiamo a vedere un’estrema difficoltà nel gestire i dossier ereditati dall’amministrazione Bush.
Obama ha invertito la rotta: la democrazia, ha detto, non si può esportare.
Benissimo, la democrazia non si può esportare. Ma questo cosa significa? Che ognuno si governa come meglio crede? O implica che c’è una strategia diversa per favorire la democrazia? Applicato all’Iran per esempio cosa vuol dire, che si tollera la repressione delle manifestazioni, o che si abbandona la società civile perché lo richiede una strategia di lungo termine? Se vuol dire: non faremo guerre con lo scopo di diffondere la democrazia, va bene. Ma nel caso in cui siamo già in guerra, come in Afghanistan, che facciamo? Mancano ancora le risposte a queste domande.
La politica di Obama potrebbe essere la riproposizione aggiornata di un realismo alla Kissinger, dopo le velleità dell’era Bush?
Realismo? Rimane difficile valutare compiutamente certe scelte. Obama ha accantonato lo scudo spaziale e questo è un passo distensivo verso la Russia, ma paesi come la Polonia e la Repubblica Ceca, che hanno condiviso e appoggiato la politica difensiva degli Stati Uniti, sono stati consultati o hanno saputo tutto dai giornali? Sono state loro offerte rassicurazioni particolari o una contropartita? Dalla reazione della Polonia non si direbbe. Cosa accadrà quando gli Usa chiederanno un impegno a questi paesi? “Forse”, “vediamo”, potrebbe essere la risposta.
Pensa che il dossier clima abbia rilanciato un sinergia tra Usa e Cina sui principali temi dell’agenda mondiale, crisi ambiente e sviluppo?
Non mi pare che sulle emissioni Usa e Cina si siano impegnati più di tanto nel modificare le loro opzioni. Anch’io sono convinto che sussistano i fattori per un’alleanza strategica tra Cina e Stati Uniti, perché la crisi economica ha indubbiamente mutato lo scenario e aumentato l’interdipendenza delle due economie. Al tempo stesso invito a riflettere su un’opinione molto diffusa tra i realisti americani. Se è vero che la Cina è il più credibile candidato a una possibile sfida al potere globale degli Usa, al tempo stesso non si è mai visto che nella loro storia gli Stati Uniti abbiano collaborato con lo sfidante. Ma, ripeto, i tempi sono cambiati. Meglio trattare con chi cresce prima che diventi troppo forte.
L’Onu è stato istituito con lo scopo di creare un mondo di eguaglianza e di pace. Personalità come Gheddafi e Ahmadinejad lo accusano ma non rinunciano a servirsene come palcoscenico… Le Nazioni Unite sono un organismo inutile?
Non va dimenticato che l’Onu non è solo il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea generale, ma anche una serie di agenzie che svolgono azioni molto concrete, che per molte popolazioni in diverse parti del mondo fanno la differenza tra la vita e la morte. L’Onu significa la possibilità di fare azioni di peace keeping in posti come il Libano, dove la guerra del 2006 senza l’intervento delle Nazioni Unite sarebbe andata avanti chissà quanto. L’Onu è un posto in cui impariamo a confrontarci con coloro i quali non sono e non vogliono diventare come noi ma esistono. Lo abbiamo imparato durante la guerra fredda: mondo libero e comunismo, confrontandosi, hanno imparato a parlare tra nemici.
Le Nazioni Unite allora possono aspirare ad essere l’organismo di una nuova governance globale?
Da questo punto di vista, purtroppo, i fatti smentiscono quest’aspirazione e ne fanno qualcosa di velleitario. Nel 1990-91 la guerra contro Saddam Hussein ci illuse che l’Onu potesse essere finalmente quello che non era mai stato ma che avrebbe dovuto essere: un’agenzia in grado di imporre la sicurezza collettiva ai recalcitranti anche con la forza, unendo il mondo sui principi del diritto e della sovranità. Ma tutto ciò è durato, come si dice, lo spazio di un mattino. Le guerre jugoslave hanno fatto vedere come tra le grandi potenze gli interessi fossero non sempre coincidenti. Oggi gli interessi continuano ad essere distinti. È vero, ci sono campi in cui sono comuni, ma non è comune l’idea di chi paga i costi.