Con l’entrata in vigore della tregua e la sospensione dell’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza denominata “Amud Anan” (Colonna di Nuvole) e la smobilitazione di oltre 17mila riservisti che erano stati arruolati durante i primi giorni dell’operazione, sembra sia calato il sipario sulla vicenda. Le armi tacciono e, fatta eccezione per i soliti noti che non perdono occasione per demonizzare lo Stato ebraico, tutto è ritornato nella sua calma relativa.
Che questa tregua nasca fragilissima lo si capisce dalle prime dichiarazioni rilasciate dai responsabili di Hamas e della Jihad islamica che, dopo aver subito oltre milletrecento bombardamenti mirati su obbiettivi militari, hanno addirittura vantato vittoria: emblematica è stata la frase “Israele ha tremato davanti alla nostra resistenza”. Non bisogna essere esperti di Medio oriente né esperti militari per capire che se Francia, Germania, Turchia, Egitto e soprattutto gli Stati Uniti non si fossero messi di traverso, nel giro di un paio di settimane l’esercito israeliano avrebbe parcheggiato i suoi carri armati al centro di Gaza City. Rimane che la situazione è molto fluida e le notizie che arrivano, purtroppo, non promettono nulla di buono.
Nei giorni scorsi, subito dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, uno dei dignitari di Hamas ha detto che l’importazione di armi ed esplosivo non è contemplato dagli accordi, mentre fonti israeliane, al contrario, affermano che è vietata dall’accordo l’importazione nella striscia di Gaza di qualsiasi armamento. A conferma di ciò che dicono le autorità israeliane alcuni siti, vicini ai servizi di informazione, danno per certo un accordo fra Egitto, Israele e Stati Uniti per la dislocazione nel Sinai di alcuni battaglioni di Marines che dovrebbero controllare proprio la linea di confine per evitare la riapertura dei tunnel sotterranei fra Egitto e la Striscia di Gaza. Gli stessi che hanno permesso l’arrivo dei missili iraniani che sono stati lanciati a centinaia sulle città israeliane.
Questa notizia non è confermata, ma è certo che Israele sta monitorando dall’alto ogni movimento lungo la linea di confine fra Gaza ed Egitto e il ripristino di movimenti di armi potrebbe far nuovamente scattare la reazione armata. Impedire che l’Iran, tramite i soliti canali, cioè il Sudan, riarmi Hamas e Jihad islamica è una delle condizioni messe da Israele nell’accordo di cessate il fuoco. Questo punto è chiaro a tutti a prescindere dalle dichiarazioni estemporanee, e senza senso, rilasciate davanti a folle festanti.
Ad infiammare la polveriera, come se ce ne fosse bisogno, ci si sta mettendo anche Abu Mazen da Ramallah che, nonostante gli sia stato chiesto da più parti di non fare richieste di riconoscimento unilaterale dello stato palestinese da parte dell’Assemblea generale dell’Onu, continua imperterrito per la sua strada. Il riconoscimento sarebbe automatico, visto che la stragrande maggioranza delle nazioni rappresentate all’Onu è chiaramente schierata con i palestinesi, ma affosserebbe definitivamente quel poco che resta del trattato di Oslo e questo passo potrebbe essere visto dallo Stato ebraico come un vero “casus belli”. In Israele, alla fine del prossimo gennaio, ci saranno le elezioni politiche e sia i commentatori che le proiezioni vedono un netto rafforzamento del blocco di destra formato dai due partiti Likud e Israel Beitenu che in questa tornata elettorale corrono come lista unica.
Possiamo immaginare che il governo che nascerà sarà ancora più attento alle questioni legate alla sicurezza, cosa fondamentale in luoghi che possono veder cambiate nel giro di pochi giorni la loro natura geopolitica.