Sarebbero di provenienza somala e eritrea le vittime della tragedia di Lampedusa, dove ieri mattina, al alrgo dell’Isola dei Conigli, un barcone carico di migranti ha preso fuoco e si è ribaltato. Sull’imbarcazione c’erano circa 500 persone, attualmente si teme che i morti siano più di 300. Una tragedia che per le sue proporzioni è senza precedenti nelle tristi pagine della migrazione verso le nostre coste. “La Somalia è un failing State, uno Stato in fallimento. Ciò porta qualcuno a fare soldi con la pirateria, molti altri, i più poveri, a scappare dall’indigenza e dalla disperazione”. A dirlo è Ugo Ernesto Savona, direttore del centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano, esperto di criminologia. “L’emigrazione nasce dalla stessa fragilità di caratere economico, politico e culturale della Somalia” spiega Savona. “Il potere del governo potrà crescere se la cooperazione internazionale raggiungerà l’obiettivo dell’assistenza allo sviluppo. Una delle ragioni dell’esistenza della pirateria è appunto la fragilità istituzionale della Somalia; ma se si avviano misure per instaurare un governo e istituzioni, come quelle di polizia, la pirateria, già in fase calante, dovrebbe completamente fermarsi”.
Il 16 settembre, il ministro degli Esteri Emma Bonino ha dichiarato da Bruxelles che l’Italia contribuirà attivamente al processo di stabilizzazione politica della Somalia con un finanziamento di 9 milioni di euro. Il Paese vive da molti anni una situazione di fragilità istituzionale che ha permesso l’affermazione del fenomeno della pirateria e del terrorismo di matrice islamica. Dopo la caduta del dittatore Siad Barre nel 1992, la Somalia ha vissuto una fase di instabilità segnata dalla guerra civile e dalla secessione di alcuni territori che hanno portato alla formazione di tre entità “politiche” differenti. Il fallimento delle missioni di pace Onu nei primi anni del 2000 ha permesso l’instaurazione di gruppi fondamentalisti islamici denominate Corti islamiche e di pirati particolarmente attivi nel golfo di Aden. Il centro di ricerca diretto dal professor Savona, Transcrime, ha vinto una gara col Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea per quanto concerne un progetto sui mezzi e strumenti non militari per il contrasto al fenomeno della pirateria.
Come verranno impiegati i finanzimenti italiani?
Il ministero degli Esteri italiano dovrà coordinarsi con gli organi competenti degli altri Stati e decidere in questi mesi le aree di intervento alle quali destinare la cifra in questione: 9 milioni non sono poi tantissimi, anzi sono come una goccia in un bicchiere d’acqua.
Chi sarà a decidere sull’impiego di questo finanziamento?
Esistono due modalità: destinare la somma a un ente multinazionale come le Nazioni Unite oppure darla in via bilaterale al governo somalo per realizzare gli obiettivi. Al momento non si sa quale delle strade è stata intrapresa.
Il fenomeno della pirateria è diminuito rispetto alle stime del 2010 pubblicate dall’Onu?
È sicuramente in una fase decrescente, o meglio, è aumentato il numero degli attacchi ma, proporzionalmente anche il numero degli insuccessi. Questo vuol dire che le misure di sicurezza adottate in questi ultimi anni da parte della comunità internazionale hanno attechito. Per ora ad aver la meglio è la cooperazione internazionale.
Nel 2006 le Corti islamiche erano salite al potere in alcune zone della Somalia e oggi la cellula Al-Shabaab, legata ad Al-Qaida, mina la sicurezza pubblica, ricordiamo l’attentato di qualche settimana fa al Mall di Nayrobi. C’è una correlazione tra la pirateria e il terrorismo di matrice islamica?
Episodi di collusione ce ne sono tanti, infiltrazioni terroristiche in Somalia sono documentate dai vari quotidiani di tutto il mondo. Il punto è sempre il medesimo: in una situazione di fragilità istituzionale aumentano le possibilità di infiltrazione da parte dei terroristi. Questo è un discorso che vale in generale per le organizzazioni criminali.
Gli aiuti internazionali sono diretti anche ai paesi limitrofi, visto il contagio del terrorismo che ha raggiunto Nayrobi?
Kenya e Uganda sono direttamente coinvolte in questo programma di assistenza. Primo perché ricevono le somme di denaro provenienti dai riscatti della pirateria e danno l’avvio a processi di riciclaggio del denaro comprando immobili, e poi perché il problema della corruzione permette l’infiltrazione dei criminali con estrema facilità.
Può fornirci degli esempi concreti?
Basti pensare che a Nayrobi c’è un quartiere molto ricco che si chiama Somalia; si pensa che sia meta prediletta dai principali finanziatori della pirateria, che investono i propri soldi in abitazioni fastose decisamente in contrasto con il resto della città.
In cosa consiste il vostro contributo?
Analizzeremo il fenomeno e troveremo una serie di modelli di riferimento per una strumentazione di bordo sulle navi. Questo permetterà a coloro che organizzano le spedizioni commerciali di usufruire di un sistema di allerta automatico e di analisi del rischio nel caso di attacco. L’apparecchio in questione verrà elaborato da un’impresa inglese e il software funzionerà sui dati da noi elaborati.
Torniamo alla tragedia di Lampedusa, nella quale hanno trovato la morte moltissimi migranti somali. Cosa deve fare l’Italia?
Il problema è europeo e deve essere affrontato su scala europea. Se il Nord Africa e il Corno d’Africa non si stabilizzano, il prezzo che si paga sarà quello di una immigrazione crescente. L’Italia deve adempiere ai trattati internazionali dando il primo soccorso ai profughi che arrivano sulle nostre coste, su questo c’è poco da fare; i diritti umani sono superiori ad ogni ragionamento di utilità economica e vanno anteposti senza indugio a d ogni altra considerazione. Poi, dobbiamo fare pressione sull’Europa perché affronti il problema in modo strutturale. Non possiamo essere solo noi a farcene carico.
(Mattia Baglioni)