“Il futuro di Siria e Medio Oriente dipende notevolmente dall’esito delle presidenziali americane. Se vince Donald Trump, l’America si accorderà con la Russia per riportare ordine in questo scacchiere. Se invece sarà Hillary Clinton a prevalere, gli Stati Uniti rinsalderanno il rapporto con il presidente turco Erdogan, che insieme al Qatar è stato il principale facilitatore dell’ascesa dell’Isis”. Lo evidenzia Germano Dottori, professore di Studi strategici all’Università Luiss, membro del board di Limes, giornalista di Rid.it e consulente parlamentare. Per l’esperto, “la famiglia Clinton ha sempre avuto rapporti molto stretti con i Fratelli musulmani e l’Islam politico. E’ quindi lecito ipotizzare che una vittoria di Hillary favorirebbe questa galassia”. Lunedì i principali media mondiali hanno battuto la notizia dell’avanzata dell’Esercito iracheno verso Falluja. Per la Reuters i militari di Baghdad avrebbero bombardato il limite meridionale della città e catturato una stazione di polizia al suo interno.
Che cosa sta succedendo a Falluja?
In realtà sono molto perplesso circa quello che si legge. Ricordo infatti ancora i giorni di marzo in cui ci avevano fatto credere che Falluja era stata liberata e che era già tutto finito. Oggi invece apprendiamo che la battaglia, in corso da febbraio, è tutt’ora in atto e che i regolari di Baghdad starebbero avanzando verso la città. Mi chiedo cosa sia successo nel frattempo. Di certo, ci hanno dipinto mesi fa un trionfo inesistente. Alla luce di questo precedente, credo sia meglio sospendere il giudizio.
Perché allora se ne parla proprio adesso?
Forse, per generare l’impressione che lo stato islamico sia in crisi o magari anche per dimostrare che l’Iraq ha un esercito regolare all’altezza delle sfide che lo attendono. Ma c’è una grande dose di spin in tutto questo. Non vedo svolte. Ho la netta sensazione che l’assedio di Falluja non sia notizia davvero nuova. Vediamo come va a finire.
Obama diffonde queste notizie per avvantaggiare la Clinton nella corsa per la Casa Bianca?
Ne dubito. Casomai, per difendere la propria politica. Se c’è una cosa che Obama non è assolutamente interessato a fare è avvantaggiare Hillary Clinton, che è una sua avversaria. Basta leggere la sua famosa intervista al The Atlantic per convincersene: lì, il presidente in carica indica chiaramente nella Libia il suo unico vero fallimento. E la Libia è sul groppone di Hillary. Se poi si fa mente locale alla gran cena di gala organizzata con i giornalisti, tutti ricorderanno che c’era Sanders. Non Hillary. Secondo me, l’impasse della candidatura della Clinton fa piacere ad Obama. Obama voleva che il suo successore fosse Biden, che non è ancora del tutto tagliato fuori. Se Trump salisse ancora nei sondaggi ed Hillary avesse problemi giudiziari insormontabili, quell’ipotesi potrebbe tornare attuale.
Quanto è ancora forte l’Isis?
In realtà, non lo sappiamo. Il futuro del califfato dipende a mio avviso decisivamente da come evolveranno i rapporti tra Turchia e stato islamico. Senza la compiacenza di Erdogan, il Daesh non va da nessuna parte. Viene strangolato logisticamente e privato di nuove reclute. Da qualche mese si osservano fatti nuovi, che fanno ben sperare sotto questo punto di vista: i carri armati turchi ingaggiano duelli con le milizie del califfato, che risponde con attentati sul suolo turco. Ed è forte l’impressione che Ankara abbia ridotto considerevolmente il supporto nelle retrovie di fatto assicurato in passato all’Isis. Se il processo trova conferme, lo stato islamico può essere sconfitto e sostituito da qualche altra formazione sunnita. Anche se il jihadismo sopravvivrebbe altrove, anche in Europa. Il Califfato è l’ultimo vero ostacolo al raggiungimento della pace in Siria. Una volta sradicato e rimpiazzato, infatti, si potrà dividere il Paese e stabilizzarlo ricorrendo ad una formula simile a quella impiegata nei Balcani per por fine alla guerra di Bosnia-Erzegovina.
Quindi l’Isis è l’unico ostacolo alla pacificazione della Siria?
E’ se non altro il principale e quello più difficile da rimuovere. Ora come ora, il Daesh rende impossibile negoziare la divisione del Paese, perché nessuno può accettare di lasciare Al-Baghdadi lì dov’è e di riconoscerne il governo.
Qual è il senso di una spartizione della Siria?
E’ una pericolosa illusione pensare che i siriani possano tornare un giorno a vivere insieme senza problemi. E’ stato versato troppo sangue. In una Siria unitaria, qualcuno prenderebbe prima o poi il sopravvento e liquiderebbe con orribili stragi chi ha perso.
In che modo avverrebbe questa divisione?
Il concetto fondamentale alla base di tutto deve essere quello di frenare congiuntamente l’espansionismo turco verso il Medio Oriente, magari dando uno Stato o qualcosa che gli somigli ai curdi, e impedire agli iraniani di rafforzarsi troppo dal punto di vista politico, dopo gli accordi di Vienna. Occorre quindi inserire una discontinuità territoriale tra Teheran, Damasco e gli Hezbollah. In Siria dovrà essere raggiunto un equilibrio di potenza in cui si rispecchi la nuova realtà mediorientale. Non è una cosa semplice, e comunque non ci si può arrivare senza prima eliminare lo stato islamico.
In quali sfere d’influenza rientrerebbero le “tre Sirie”?
Idealmente, dovremmo avere una componente sunnita, principalmente influenzata dall’Arabia Saudita dove oggi c’è il Daesh. Un’altra area, più piccola, potrebbe finire nelle mani di ciò che resta della Fratellanza musulmana, sotto la protezione turca. Dovrebbe esserci poi il Rojava, che è fortemente sostenuto da americani e russi. Quindi, dulcis in fundo, la Siria di Assad, sotto cui si raggrupperebbe la parte più larga della popolazione. Le Sirie potrebbero essere quindi anche 4 o 5.
Su questo piano c’è una convergenza Usa-Russia?
Sicuramente, anche se si discute sulle linee di confine, perché si intuisce che gli Stati Uniti non desiderano che gli Assad possano un giorno riprendersi l’intera Siria e vogliono comunque che a sporcarsi le mani siano soprattutto i russi. Gli americani hanno sostanzialmente lasciato fare i russi fin dall’inizio del loro intervento aereo dello scorso settembre, al di là di quanto hanno affermato per convenienza politica. Lo prova il fatto che all’impegno dell’aeronautica russa in Siria ha fatto immediatamente seguito lo sgombero dei Patriot Usa che erano in Turchia dal 2013.
L’Isis ha ancora il sostegno dell’Arabia Saudita?
Non credo, secondo me l’Arabia Saudita non appoggia affatto l’Isis, almeno non più, specialmente se parliamo degli ambienti governativi. Per Riyadh, ora come ora il califfato è una minaccia: lo ha appoggiato finché era confinato all’Iraq, come strumento di resistenza all’influenza crescente dell’Iran e costola di al Qaeda. Nel momento in cui l’Isis è entrato in Siria, ha cambiato natura, è diventato il “giocattolo” di Turchia e Qatar, che se ne sono serviti per tentare di battere Assad e provocare un grande intervento militare occidentale in terra siriana. Su tutta questa vicenda pesa comunque una grandissima incognita …
Quale?
Le elezioni presidenziali americane. Se vince Trump cambia il mondo, e gli americani si accorderanno con i russi per portare l’ordine non solo in Medio Oriente ma in un vasto ambito di regioni del mondo. Se invece la spunta Hillary, gli Usa scommetteranno ancora una volta sul presidente turco Erdogan, che si rafforzerà.
Perché la Clinton si accorderebbe con Erdogan?
Perché la famiglia Clinton è molto vicina ai Fratelli musulmani e ha un grande rapporto con l’islam politico.
Quali sono i rapporti tra la Clinton e i Fratelli musulmani?
Sono rapporti molto stretti, come quelli che aveva Bill Clinton. L’intera famiglia ha avuto da sempre relazioni importanti con i Fratelli musulmani.
Quali effetti avrebbe in Medio Oriente una vittoria di Hillary Clinton?
Molto verosimilmente la Clinton presidente destabilizzerebbe l’Arabia Saudita, imbastendo una grande campagna per i diritti umani delle donne, mentre tutto questo non è immaginabile che possa far parte dell’agenda di Trump. Noi europei abbiamo quindi un interesse fondamentale a che in America prevalga Trump o comunque venga sconfitta la Clinton. Non abbiamo bisogno di altro caos.
(Pietro Vernizzi)